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Io non inquino, ma se inquino è colpa vostra

 

Questa è una storia che solo nella Taranto dell'era Riva avrebbe potuto verificarsi.

Il colosso industriale ILVA, citato in giudizio, unitamente al proprio legale rappresentante Emilio Riva ed al Direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, per varie azioni risarcitorie connesse all'inquinamento da esso provocato, si difende addossando al Comune ed alla Provincia di Taranto la responsabilità dell'inquinamento sul quartiere Tamburi, assumendo che questi non avessero completato l'opera di realizzazzione dell cd. "collinette ecologiche" a separazione tra lo stabilimento e l'abitato.

Insomma, se il quartiere Tamburi è ricoperto di polveri provenienti dallo stabilimento ILVA, la colpa non sarebbe di ILVA che le emette, ma del Comune di Taranto e della Provincia di Taranto che, a dire dei convenuti, non avrebbero fatto quanto si erano "impegnati a realizzare" con gli ormai famigerati quattro "atti di intesa" sottoscritti tra il 2003 e il 2006.

Questa la singolare (e a dir poco provocatoria) tesi che il Tribunale di Taranto si è trovato ad affrontare nell'ambito di alcuni giudizi risarcitori azionati da abitanti del queartiere Tamburi.

Il primo di questi giudizi a concludersi è stato quello promosso da una cittadina reclamante il risarcimento di danni fisici, in cui il G.U. del Tribunale Civile di Taranto dr. Genoviva ha emesso la sentenza n. 2818/13.

Il Comune di Taranto è divenuto parte del giudizio in quanto, come detto, uno dei convenuti, in questo caso solo l’ex direttore dello stabilimento ILVA di Taranto Ing. Luigi Capogrosso, nel costituirsi in giudizio, difeso dagli avvocati Francesco Perli ed Enrico Claudio Schiavone (difensori anche dell’ILVA S.p.A. nel giudizio in questione, nonché di Riva Emilio, negli altri giudizi simili tuttora pendenti dinanzi al medesimo Tribunale), ha chiesto ed ottenuto di poter citare "in garanzia" il Comune di Taranto e la Provincia di Taranto, sostenendo che la mancata realizzazione delle “collinette ecologiche” a ridosso dei parchi minerari costituirebbe concausa dell’inquinamento da polveri subito dal quartiere Tamburi e dai suoi abitanti.

La tesi del convenuto era che la realizzazione delle citate “collinette ecologiche” fosse un impegno assunto dal Comune e dalla Provincia di Taranto nell’ambito degli atti di intesa sottoscritti negli anni compresi tra il 2003 e il 2006, ed ha quindi chiesto al Tribunale Civile di Taranto che, in caso di propria condanna al risarcimento dei danni subiti dalla attrice, esso fosse manlevato e garantito proprio dal Comune di Taranto e dalla Provincia di Taranto, a causa della mancata realizzazione delle “collinette ecologiche”.

Il Comune di Taranto si è costituito in giudizio difeso dagli avvocati Massimo Moretti e Giuseppe Dimito, contestando integralmente la domanda di garanzia, ed evidenziandone la pretestuosità oltre che la infondatezza sia in fatto che in diritto

La difesa dell'Ente ha evidenziato, in primo luogo, la natura non contrattuale dei citati "atti di intesa" e la conseguente impossibilità di azioni tese al rispetto delle obbligazioni in essi assunte. Ha quindi evidenziato che, ad ogni buon conto, il Comune di Taranto in quegli atti d'intesa non avesse affatto assunto alcun impegno di realizzazione delle citate collinette ecoligiche, e che la mancata realizzazione non fosse dipesa da propria volontà ma dalla volontà di altri enti e soggetti giuridici, tra l'altro in esito ad approfondimenti sulla efficacia di tali opere che, a parere di numerosi tecnici, rischiavano di essere inefficaci.La difesa del Comune di Taranto aveva infine sottolineato, unicamente per scrupolo difensivo, ma anche per dare un'idea della pretestuosità e provocatorietà della domanda, che con riferimento ai famigerati "atti d'intesa" è stata proprio ILVA e rendersi del tutto inadempimnte, come dimostra la circostanza, dettagliatamente documentata, che molte delle opere che ILVA si era impegnata e realizzare nei predetti atti di intesa, ancora oggi, a circa dieci anni dalla loro sottoscrizione, non risultano realizzate, tanto da essere state inserite nelle prescrizioni dell'ultimo provvedimento di A.I.A..

Si pensi, a solo titolo di esempio, alle, anch'esse famigerate, "barriere frangivento", solo da qualche settimana, e solo parzialmente, realizzate.

La sentenza del Tribunale di Taranto, pur rigettando la domanda principale, ha comunque deciso sulla “soccombenza virtuale” riferita alla domanda di garanzia, come richiesto dalla difesa del Comune di Taranto, e pertanto si può affermare che il Tribunale di Taranto ha accolto in pieno le tesi difensive “energicamente” avanzate dal Civico Ente (testuale nella sentenza) ed anche dalla Provincia di Taranto, difesa dall'avv. Cesare Semeraro.

Il Giudicante ha infatti ritenuto che la domanda di garanzia fosse infondata e che il richiamo agli atti di intesa quali fonti di obbligazioni per gli Enti Pubblici sottoscrittori, fosse del tutto pretestuoso ed inammissibile, sia sotto il profilo della valenza giuridica degli atti di intesa, sia sotto il profilo del loro contenuto (non riscontrandosi alcuna obbligazione del Comune di Taranto a realizzare le opere in questione) ma anche ritenendo, alla luce delle attuali conoscenze in materia ed applicando il semplice “buon senso”, che la realizzazione delle invocate “collinette ecologiche” ben poco avrebbe potuto, anche solo per mitigare l’impatto inquinante delle emissioni provenienti dai parchi minerari dello stabilimento ILVA.

Giova rilevare, sul punto, che è attualmente prevista nell’ambito dell’A.I.A., e dei successivi provvedimenti legislativi, la integrale copertura dei parchi minerari, da effettuarsi, come è da ritenersi corretto, a spese dell’ILVA S.p.A., e non con fondi della collettività, quali quelli che avrebbero dovuto utilizzarsi per la costosa opera pubblica, sulla cui efficacia, come detto, più di qualche perplessità era in passato stata sollevata da numerosi esperti.

Insomma, in attesa dell'eventuale appello, per il momento giustizia sembra fatta.

Da sottolineare, infine, che il Comune di Taranto ha anche ottenuto la condanna del chiamante in giudizio alla rifusione delle spese di lite, sebbene il giudice non abbia ritenuto sussistenti i requisiti per la condanna, pure richiesta dalEnte, di condanna del chiamante in garanzia al risarcimento del danno da "lite temeraria".

 

Massimo Moretti - Avvocato
Taranto, Piazza Ebalia,6 - Tel 0994590188 Fax 0994537873
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