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Una sentenza storica e una battaglia vinta. Ma la guerra?

Ricordo con precisione la prima volta che ho incontrato Salvatore De Giorgio, il "capocondomino" di Via De Vincentiis.
Salvatore fu molto chiaro sin dal primo incontro: "vogliamo chiedere il risarcimento dei danni a ILVA", disse, "e per vincere questa battaglia dobbiamo essere sicuri che nessuno si venderà al padrone", e mi portò un dischetto con la registrazione di un servizio di un'emittente locale, nel quale denunziava l'incredibile condizione in cui lui e i suoi vicini di casa dovevano vivere a causa dell'inquinamento ILVA.
Ci recammo insieme sul posto per un sopralluogo e, malgrado io stesso, come tarantino nato e cresciuto a Taranto, e vicino a Legambiente, fossi a conoscenza diretta del problema delle polveri provenienti dallo stabilimento ILVA (anche io, come tanti, ho giocato a calcio nei campi del quartiere Tamburi e ricordo ancora la coltre di polvere posata sul campo da gioco, ad esempio), restai senza parole di fronte alla quantità enorme di "polverino", come lo chiamano i residenti del quartiere, posato ovunque.
Dico solo che addirittura le grondaie per l'acqua piovana erano interamente occluse e piene di polvere ormai cementificata.
Decisi che avrei fatto di tutto per aiutare questa gente. Chiamai subito il collega Eligio Curci, che aveva seguito per Legambiente i processi penali a carico di amministratori e dirigenti ILVA conclusi con sentenze di condanna, e con il quale dividevamo l'impegno ambientalista e politico, e cominciammo insieme il lungo percorso per la rivendicazione del diritto risarcitorio di quel gruppo di coraggiosi che, vincendo le resistenze della maggioranza degli abitanti del quartiere, avevano deciso di combattere questa battaglia giusta per l'affermazione di un diritto fondamentale, quello di poter vivere serenamente nelle proprie abitazioni e nel proprio quartiere una vita "normale".
Ebbene, nelle settimane scorse il Giudice Unico del Tribunale di Taranto ha depositato la propria sentenza con cui ha deciso il giudizio, riconoscendo il diritto al risarcimento in favore dei componenti il condominio.
Va ricordato che il condominio ha introdotto la propria azione risarcitoria sin dal 2006, formalizzando la prima richiesta stragiudiziale dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna in sede penale di amministratori e dirigenti ILVA per il reato di "getto pericoloso di cose".
Azione stragiudiziale poi sfociata, viste le resistenze di Ilva spa a riconoscere il risarcimento in via bonaria, nel giudizio civile oggi deciso con la sentenza sopra richiamata.
Il processo, una volta introdotto con atto di citazione nel 2008, basato anche sulle risultanze di una perizia di parte prodotta dal condominio, ha avuto un percorso tortuoso, che ne ha allungato notevolmente i tempi, e non si esclude che lo stesso possa proseguire anche in grado di appello.
Al fine di evidenziare la qualità quasi rivoluzionaria, per l'epoca, dell'azione in questione, per la quale la stampa coniò appunto il termine "i ribelli dei Tamburi", bisogna ricordare che in quegli anni ILVA aveva una diversa forza "persuasiva" nei confronti di cittadini (specie di quelli residenti ai Tamburi, per molti dei quali era presente il timore dettato dal fatto che qualche familiare lavorasse o fosse in predicato di essere assunto in ILVA), stampa ed istituzioni, e precedenti giurisprudenziali quasi sempre favorevoli, che la inducevano e rigettare con sprezzo ogni tentativo di definizione "bonaria", come è accaduto nella fattispecie.
Per avere un'idea delle difficoltà frapposte dalla società convenuta e dai propri difensori basti pensare che in corso di giudizio è si è proceduto a sostituire il primo consulente tecnico di ufficio, nominato dal Giudice, poiché ILVA spa aveva eccepito che non fosse possibile nominare consulente di ufficio un professionista residente nella città di Taranto, in quanto a parere della stessa ci sarebbe stato un "conflitto di interessi", dato l'interesse di "ogni" tarantino all'affermazione di un diritto risarcitorio per i proprietari di immobili in città.
L'eccezione di ILVA fu contrastata dal condominio e quindi rigettata, ma la stessa comportò in ogni caso la decisione (prudenziale) del Giudice di procedere, al solo fine di evitare strumentalizzazioni e motivi di impugnazione, alla sostituzione del consulente tarantino già nominato, con nomina di altro consulente residente fuori Taranto.
Questa decisione comportò quindi la prima perdita di tempo.
Si diede quindi finalmente corso alla consulenza di ufficio, e si scoprì che questa, data la necessità di indagini chimiche che accertassero la qualità e quantità dell'inquinamento subito dal condominio, e la sua provenienza dallo stabilimento ILVA, aveva costi elevati e tempi lunghi.
Essa, infatti, ha previsto numerosi accessi, sia presso lo stabilimento ILVA che presso l'immobile degli attori, ed ha dato vita, su richiesta di chiarimenti delle parti, anche a due complessi supplementi di perizia, che hanno comportato il notevole prolungamento dei tempi di giudizio, anche perchè il giudizio, introitato per la decisione, è stato rimesso sul ruolo proprio al fine di ottenere ulteriori chiarimenti dal c.t.u..
In corso di giudizio, inoltre, due degli attori sono deceduti, e anche tali tristi circostanze hanno comportato un allungamento dei tempi.
Alla fine, però, i primi "ribelli" dei Tamburi, tra i quali anche gli eredi dei due deceduti, hanno vinto la propria battaglia, con l'affermazione del nesso di causalità tra inquinamento subito e produzione industriale ILVA, ed il riconoscimento del diritto al risarcimento subito a causa dell'inquinamento.
Qualche giorno fa i condomini hanno quindi ricevuto dalle mani dei propri difensori gli assegni relativi ai risarcimenti riconosciuti in sentenza e liquidati da Ilva spa.
Somme comprese tra gli undicimila e i quindicimila euro a famiglia, e che vanno a risarcire una voce di danno che per la prima volta viene riconosciuta in sede giudiziale, cioè il danno conseguente alla ridotta possibilità di godimento dell'immobile di proprietà a causa dell'inquinamento industriale proveniente dallo stabilimento Ilva.
Una sentenza innovativa e che costituisce un precedente particolarmente importante in materia, anche perché il diritto risarcitorio riconosciuto, e mai reclamato da nessun'altro, appare difficilmente revocabile in sede di impugnativa, non dipendendo da valutazioni tecniche con riferimento a dati che possono essere suscettibili di varia interpretazione.
Taranto, tra l'altro, per le note vicende connesse all'inquinamento industriale ILVA, diventa luogo di avanguardia e frontiera anche per il riconoscimento di diritti risarcitori in materia ambientale.
Quella che qui viene narrata è una pagina di questo percorso di rivendicazione di diritti.
Altre ne verranno.
Per oggi non possiamo che gioire del risultato raggiunto dai "ribelli" e sperare che questi risarcimenti riescano, almeno parzialmente, a lenire la pena di quanti hanno dovuto sopportare l'ingiusta compressione dei propri diritti a causa dell'inquinamento industriale.

 

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Sul TG1 del 30 maggio 2014

 

Massimo Moretti - Avvocato
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