Vengo fuori da un'incursione in territorio straniero, il processo penale.
Ne vengo fuori vittorioso, e felice per i miei clienti, assolti con formula piena rispetto a capi d'accusa infamanti e lesivi della loro immagine di pubblici amministratori, tecnici, dirigenti e funzionari.
Ma faccio delle riflessioni sul mondo che si muove intorno al processo penale con gli occhi di chi lo ha visto dal di dentro.
Il processo penale ti stritola. E quello che ti stritola, specie se sei un personaggio pubblico, non è neanche il processo in sè, che pure ha pecche non di poco conto, ma la rappresentazione che di quel processo viene fornita alla gente.
A partire dal giorno in cui la polizia giudiziaria arriva in sede per raccogliere dei documenti e ti ritrovi con un titolo a nove colonne del tipo la polizia giudiziaria presso la sede della società x, indagini in corso, ipotesi di reato.
E tu magari vorresti dire che si tratta di un errore, che non sei colpevole di niente, ma i tuoi tentativi di comunicare alla gente si infrangono contro la triste realtà delle regole del giornalismo: tira di più la notizia delle ruberie, specie di pubblici amministratori, che la smentita, la puntualizzazione, la noiosa spiegazione del perchè quel reato non possa esistere, nella fattispecie.
E quindi dopo ogni udienza è uno stillicidio di titoli che dicono che sei imputato. E la richiesta del PM. E la richiesta della parte civile. E il rinvio dell'udienza.
Ogni volta sei sbattuto sui giornali come colpevole.
Poi capita, come in questo caso, che sei assolto con formula piena e scagionato da qualsiasi accusa.
E certo la notizia terrà banco per un giorno sulla stampa locale.
Ma il fango schizzato resterà a segnare per sempre un'esistenza.