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La Corte di appello di Taranto conferma sentenza a favore dei residenti ai Tamburi

Con atto di citazione in appello notificato in data 20.10.14 l’Ilva S.p.A. (in persona del Commissario Straordinario) impugnava la sentenza n. 708/2014 del G.U. del Tribunale di Taranto dr. Marcello Maggi, che aveva deciso il giudizio n. 7502/2008 R.G. introdotto dai proprietari degli appartamenti dello stabile di Via De Vincentis ed ENA sc. B nel quartiere Tamburi.

Successivamente, in data 21.4.15, in esito alla ammissione di ILVA S.p.A. alla procedura di amministrazione straordinaria, si costituiva in giudizio la ILVA S.p.A. in amministrazione straordinaria, in persona dei Commissari Straordinari.

Il giudizio di primo grado è stato il primo giudizio risarcitorio promosso da cittadini residenti al quartiere Tamburi, e veniva introdotto nel 2008, dopo una fase stragiudiziale iniziata nel 2006, sulla scorta del passaggio in giudicato della sentenza del processo penale “parchi minerali” del 2005, che accertava fatti inquinatori a partire dal 1999 e dopo la sentenza di primo grado del Tribunale Penale di Taranto (Giudice dr. Rosati) del “processo cokerie” del 2007 (processo chiuso con sentenza definitiva della S.C. del 2010).

In esito alle prove documentali offerte dagli attori ed alla c.t.u. (che ha compreso anche indagini chimico mineralogiche sulle polveri raccolte presso gli immobili e presso i parchi minerali dello stabilimento Ilva e che dava atto della esistenza del nesso di causalità tra attività inquinante dello stabilimento ILVA e i danni lamentati dagli attori), si era concluso con l’accoglimento parziale della domanda degli attori, e quindi con la condanna della società convenuta al risarcimento in favore degli attori del danno relativo alla “compressione del diritto di proprietà come diritto a godere in modo pieno ed esclusivo di un bene determinata dalla continuativa esposizione degli immobili degli attori al fenomeno immissivo”, quantificato, in via equitativa, in un importo pari al 20% del valore degli immobili al momento della domanda, e quindi in importi compresi tra i 12 e i 16mila euro ad appartamento.

Con l’atto di citazione in appello l’ILVA S.p.A., prima in commissariamento straordinario e poi in amministrazione straordinaria, impugnava la sentenza con sei motivi di ricorso e ne chiedeva la riforma.

Gli appellati si costituivano in giudizio impugnando l’appello e chiedendone il rigetto.

Con la sentenza n. 45 del 31.1.2018 la Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, Giudice Relatore dr. E. Scisci, Presidente dr. R. Alessandrino, ha rigettato integralmente l’appello, condannando l’amministrazione straordinaria di ILVA S.p.A. al pagamento delle spese di giudizio in favore degli appellati nonché, in ragione dell’integrale rigetto di tutti i sei motivi di appello, al versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Di seguito alcune brevi considerazioni in merito alla importante sentenza della Corte di Appello.

In primo luogo si rileva che la difesa dei residenti ai Tamburi ha evidenziato a più riprese che il contenuto e soprattutto i toni dell’atto di appello, con alcune affermazioni “forti” come le seguenti:

La sola notizia delle indagini, e dei correlati e noti sequestri penali, è stata però sufficiente per scatenare una caccia al risarcimento del danno indiscriminata e totalmente avulsa da qualunque considerazione giuridica, provocando una vera e propria valanga di domande risarcitorie nei confronti di ILVA, per lo più fondate su affermazione che i danneggiati, proprietari di immobili del quartiere tamburi, avrebbero subito un danno alla loro proprietà, in ipotesi risarcibile”;

ILVA, in relazione alla invocata applicazione dell’art. 844 c.c. da parte degli appellati, ha prontamente eccepito la priorità dell’uso da parte della Società e il fatto che le immissioni dello stabilimento non superano, e non hanno superato neanche in passato, la normale tollerabilità”;

Il Tribunale, infatti, ha omesso di riferire che proprio in quegli anni ILVA è stata sottoposta alla procedura di controllo dell’approvazione dell’AIA. Infatti, in data 4 agosto 2011, al termine di una istruttoria durata ben 4 anni e con la partecipazione anche della regione Puglia, della Provincia di Taranto, del Comune di Taranto, di ARPA Puglia ed ISPRA e del Ministero della Salute e l’intervento di quasi tutte le associazioni ambientaliste, il Ministero dell’Ambiente ha rilasciato ad ILVA l’Autorizzazione Integrata Ambientale – AIA -, riconoscendo che ILVA generalmente adotta le migliori tecniche disponibili riconducibili alle soluzioni proposte nei documenti tecnici comunitari e nelle linee guida nazionali, ed applicate in modo da conseguire prestazioni ambientali in linea con tali MTD… Non possiamo che ribadire che ILVA ha sempre esercitato la propria attività produttiva in conformità alla normativa vigente e senza superare il limite della “normale tollerabilita”, come più volte riconosciuto anche in sede giurisdizionale”;

“Con il che si mostra, in fondo, la natura paradossale ed ingiusta delle domande di risarcimento del danno che oggi subissano ILVA: gli abitanti del quartiere tamburi si dolgono dell’esistenza di ILVA, e chiedono infondati risarcimenti dei danni, omettendo di considerare che è proprio ILVA che ha costituito la ragion d’essere dello sviluppo del quartiere”;

mal si conciliassero con gli atti prodromici alla nomina prima del Commissario Straordinario e poi degli Amministratori Straordinari di Ilva S.p.A..

La Corte di Appello, intanto ha correttamente ritenuto, a pagina 8 della sentenza, che non può sottacersi che “persino il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico inerente la procedura di amministrazione straordinaria della soc. ILVA del 21.1.15 – invero costituitasi volontariamente nella persona dei Commissari – cita, nelle premesse, norme che, implicitamente, ma inequivocabilmente presuppongono la raggiunta consapevolezza della grave situazione ambientale nella città di Taranto ricollegata all’attività dello stabilimento siderurgico ILVA”, ed inoltre ha rigettato tutti i sei motivi di appello proposti dalla Amministrazione Straordinaria di ILVA S.p.A., ritenendo il gravame integralmente infondato e quindi confermando la correttezza della sentenza di primo grado del G.U. dr. M. Maggi del Tribunale di Taranto che, a parere della Corte di Appello, aveva correttamente proceduto alla valutazione del valore probatorio ed indiziario degli accertamenti di fatto contenuti nelle numerose sentenze penali prodotte in giudizio e che avevano accertato la responsabilità di amministratori e dirigenti di Ilva S.p.A. per le immissioni inquinanti provenienti dallo stabilimento di Taranto, nonché valutando correttamente le risultanze della consulenza tecnica di ufficio svolta in giudizio, nell’ambito della quale erano state raccolte le polveri depositate sugli immobili degli attori e confrontata la loro natura con quelle raccolte presso i parchi minerali, constatandone la identica composizione chimica.

La sentenza conferma quindi che è inequivocabilmente provato che gli immobili del quartiere Tamburi sono stati aggrediti per decenni dalle immissioni di polveri provenienti dai parchi minerali dello stabilimento Ilva e che tali immissioni hanno superato la normale tollerabilità.

Conferma inoltre che i proprietari degli immobili hanno subito una ingiusta compressione del proprio diritto di goderne.

Infine conferma che è corretta la quantificazione (in via equitativa) del danno subito da questi proprietari con riferimento ad una percentuale pari al 20% del valore degli immobili.

Ebbene, come ricordato, i proprietari degli immobili di Via De Vincentis sono quelli che si sono mossi per primi e sono gli unici che hanno ricevuto ed incassato il risarcimento che è stato riconosciuto dal Tribunale.

E tutti gli altri cittadini residenti ai Tamburi che non hanno ottenuto alcun risarcimento, a causa della ammissione di ILVA S.p.A. alla procedura di Amministrazione Straordinaria (che, come noto, impedisce di proseguire azioni giudiziarie nei confronti della società) e che magari sono ancora invischiati nella complessa procedura di insinuazione al passivo di ILVA S.p.A. presso il Tribunale di Milano, nell’ambito della quale le richieste di insinuazione vengono rigettate e costringono a costosi giudizi dinanzi al predetto Tribunale di Milano?

Forse questa sentenza, per la sua chiarezza espositiva, ed il suo contenuto limpido e oggettivamente condivisibile, potrebbe consentire alla procedura di Amministrazione Straordinaria di ILVA S.p.A. un diverso atteggiamento circa l’accoglimento delle istanze di insinuazione al passivo della procedura dei residenti al quartiere Tamburi che tutt’oggi reclamano il risarcimento del danno subito a causa delle immissioni di polveri.

Allo stesso modo, considerando che anche in caso di accoglimento delle istanze, difficilmente i cittadini otterranno ristoro effettivo, poiché la procedura probabilmente non avrà risorse per pagare i creditori non muniti di privilegio come loro, è auspicabile che anche la politica faccia la sua parte e provi ad individuare delle soluzioni per garantire il concreto ristoro del danno subito dai cittadini di Taranto a causa dell’incessante sversamento di polveri provenienti dai parchi minerali di ILVA per tutti gli anni in cui essi sono rimasti scoperti (con la speranza che i lavori di copertura terminino nei tempi comunicati).

In tal senso sarebbe auspicabile un impegno dei prossimi parlamentari eletti in questo territorio.

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