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Massimo Moretti

Massimo Moretti

Su twitter, per farla breve, mi definisco “seguace del buono e dell’equo”, riprendendo la definizione Ulpianea del diritto quale ars boni et aequi, e come giurista (dopo la maturità scientifica conseguita al Liceo G. Ferraris di Taranto, mi sono laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Bari nel 1989, e sono Avvocato dal 1993) cerco di farmi guidare da questi concetti.
Ho conseguito, tra gli altri, una serie di titoli di specializzazione post laurea, sia universitari che presso primari enti di formazione privati, in diritto e tecnica degli appalti pubblici e dei servizi pubblici e in diritto societario.
Sono abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione ed alle magistrature superiori dal 2006.
Come cittadino pratico la partecipazione, mi interesso, prendo parte e prendo posizione, insomma resto gramscianamente partigiano.
Mi impegno nel settore ambientalista dal 1990, e faccio politica ogni giorno, come posso.
Sono stato componente del consiglio di amministrazione dell’AMAT S.p.A., società partecipata dal Comune di Taranto operante nel settore del trasporto pubblico locale, e continuo ad interessarmi della materia del trasporto quale consulente e membro di gruppi di lavoro.
Disposto personalmente a qualsiasi discussione di principio, normalmente dissuado i miei clienti dalle “questioni di principio”.
Mi impegno per il riconoscimento della dignità del ruolo dell’avvocato, spesso svilito e, non di rado, ingiustamente umiliato.
Sportivo praticante del parquet e della palla a spicchi, più che tifoso, e comunque interista da molto prima del triplete.
Malgrado tutto ciò sorrido spesso.

Giovedì, 22 Dicembre 2016 19:13

Risanamento e crisi d'impresa

Lo studio fornisce assistenza e consulenza nel settore del risanamento e della crisi d'impresa, garantendo supporto nella fase di ricognizione e dell'approccio al risanamento, nonchè di scelta dello strumento paraconcorsuale (piano attestato, art. 67, co.3, lett. D, L.F. - accordo di ristrutturazione del debito, art. 182-bis L.F.) e concorsuale (concordato preventivo, liquidatorio ed in continuità, e fallimentare), e quindi nella gestione della crisi da sovraindebitamento dei soggetti non fallibili (L. 3/2012) con particolare riferimento alle possibilità concesse dall'istituto all'imprenditore agricolo, e quindi nella diverse procedura dell'accordo con i creditori (art. 7, co. 1), del piano del consumatore (art. 7, co. 1bis), della liquidazione delpatrimonio (art. 14 ter e ss.).

Ulteriore skill dello studio è la assistenza nella tutela e protezione del patrimonio dell'imprenditore, nella finanza interinale e nelle operazioni straordinarie a servizio del risanamento.

La lettera aperta del prof. Assennato e la solidarietà di cui al comunicato Legambiente con la richiesta al Presidente Vendola ed al Presidente del Consiglio Regionale di non recepire la abolizione, approvata dalla commissione, di due articoli della legge regionale 7/99, riguardante la Disciplina delle emissioni odorifere delle aziende, poichè, come precisa l'Arpa, tali modifiche porterebbero a eliminare un provvedimento che «pur con evidenti limiti applicativi» rappresenta «l'unico riferimento normativo per reprimere i fenomeni emissivi odorigene», meritano una riflessione più ampia per chi vive (e non vegeta) nella mia martoriata città.

Stiamo faticosamente trovando una via d'uscita (ancora tutta da verificare, invero) sulla questione ILVA, ma non abbiamo mai affrontato COLLETTIVAMENTE la questione dei cattivi odori provenienti, in alcuni giorni e con particolari venti, da altri siti industriali.

Solo grazie al lavoro di ARPA Puglia abbiamo potuto in qualche modo individuare le fonti inquinanti, e quindi dobbiamo fare certamente argine perchè la norma regionale non sia abolita e il lavoro di ARPA Puglia possa continuare a svolgersi, anzi che si svolga meglio e con maggiori supporti.

Tuttavia non può non evidenziarsi che nella nostra città ancora non vi è stata quella presa di coscienza COLLETTIVA, che invece per ILVA c'è stata.

Ci si limita all'invettiva generica, quasi all'imprecazione.

Perchè ciò accade? Forse per stanchezza. Forse perchè si ritiene che queste immissioni siano meno tossiche ed inquinanti di quelle provenienti dallo stabilimento ILVA.

Forse perchè prevale la voglia di pensare ad altro e non passare la vita a combattere contro i mulini a vento.

Io invece non ci sto e parto da una considerazione semplice: massimo rispetto per il diritto alla produzione industriale, ma nessuna norma nazionale ed internazionale può consentire ad una industria di provocare, con la propria produzione, il malessere (che supera la normale tollerabilità) di queste  immissioni (odorigene o odorifere che dir si voglia).

E se nessuna norma può consentirlo, allora è un mio diritto, ed è un diritto di noi cittadini, quello di invocare giustizia.

Perchè queste emissioni terminino. E perchè chi le ha provocate risarcisca il danno conseguente.

E' una questione di dignità, e di giustizia sostanziale, che ancora una volta bisognerà risolvere invocando il diritto.

Il diritto, cioè l'arte del buono e dell'equo.

Venerdì, 13 Febbraio 2015 17:13

un processo penale può segnare un'esistenza


Vengo fuori da un'incursione in territorio straniero, il processo penale.

Ne vengo fuori vittorioso, e felice per i miei clienti, assolti con formula piena rispetto a capi d'accusa infamanti e lesivi della loro immagine di pubblici amministratori, tecnici, dirigenti e funzionari.

Ma faccio delle riflessioni sul mondo che si muove intorno al processo penale con gli occhi di chi lo ha visto dal di dentro.

Il processo penale ti stritola. E quello che ti stritola, specie se sei un personaggio pubblico, non è neanche il processo in sè, che pure ha pecche non di poco conto, ma la rappresentazione che di quel processo viene fornita alla gente.

A partire dal giorno in cui la polizia giudiziaria arriva in sede per raccogliere dei documenti e ti ritrovi con un titolo a nove colonne del tipo la polizia giudiziaria presso la sede della società x, indagini in corso, ipotesi di reato.

E tu magari vorresti dire che si tratta di un errore, che non sei colpevole di niente, ma i tuoi tentativi di comunicare alla gente si infrangono contro la triste realtà delle regole del giornalismo: tira di più la notizia delle ruberie, specie di pubblici amministratori, che la smentita, la puntualizzazione, la noiosa spiegazione del perchè quel reato non possa esistere, nella fattispecie.

E quindi dopo ogni udienza è uno stillicidio di titoli che dicono che sei imputato. E la richiesta del PM. E la richiesta della parte civile. E il rinvio dell'udienza.

Ogni volta sei sbattuto sui giornali come colpevole.

Poi capita, come in questo caso, che sei assolto con formula piena e scagionato da qualsiasi accusa.

E certo la notizia terrà banco per un giorno sulla stampa locale.

Ma il fango schizzato resterà a segnare per sempre un'esistenza.

sentenza

 

 

Con la sentenza n. 340/14 emessa nel ricorso n. 23505/2013 R.G. promosso da un ex autista di bus addetti al trasporto pubblico nei confronti della CTP S.p.A., società di trasporto pubblico extraurbano, difesa in giudizio dall'Avv. Massimo Moretti, la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, aderendo alla tesi difensiva della CTP S.p.A., ha rigettato il ricorso, confermando la sentenza della Corte di Appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto n. 193/2013, con la quale era stata riformata la sentenza del Giudice del Lavoro del Tribunale di Taranto che, in prima istanza, aveva invece accolto il ricorso del lavoratore, riconoscendo la sussistenza del danno ex art. 2087 c.c., e condannando la società datrice al risarcimento del danno fisico (ipoacusia) sopportato dall'ex dipendente (autista di bus), considerato conseguente alla mancata adozione delle misure di sicurezza a bordo dei propri bus da parte della CTP S.p.A.

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La CTP S.p.A., impugnando la sentenza di primo grado, aveva evidenziato che risultava in atti l'idoneità al funzionamento dei propri bus, annualmente sottoposti alla verifica presso la motorizzazione civile, e quindi in regola con le numerose normative, anche europee, in materia di sicurezza e di rumorosità sia interna che esterna al mezzo, ed inoltre aveva evidenziato, sulla scorta della giurisprudenza della S.C., che il ricorrente aveva indicato genericamente una "omissione" della società datrice rispetto ai propri obblighi in materia di sicurezza sul lavoro, dalla quale generica omissione sarebbe derivata la "eccessiva rumorosità" dei bus, e quindi la malattia del lavoratore, ma non aveva neppure suggerito quali potessero essere questi obblighi che sarebbero risultati omessi, così omettendo una circostanza ritenuta invece necessaria per l'accoglimento di una azione risarcitoria per responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c..

Il principio, già espresso nella sentenza n. 12089 del 17.5.2013, è stato integralmente confermato sia nella sentenza della Corte di Appello, che in quello della S.C., che con il provvedimento in oggetto ha chiuso l'annosa vertenza, riconoscendo in via definitiva le ragioni della società di trasporto e la idoneità dei mezzi della CTP S.p.A. sotto il profilo della sicurezza per i propri dipendenti e per gli utenti e confermando il principio per cui non è sufficiente eccepire l'esistenza di condizioni di pericolosità e disagio sul luogo di lavoro, poichè è invece necessario indicare nel dettaglio le misure di sicurezza che risulterebbbero omesse da parte del datore di lavoro.

 

 

Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto.

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 4, 9, 32, 41, 77 e 87 della Costituzione;

Visto il decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270;

Visto il decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39;

Visto il decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231;

Visto il decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89;

Visto il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni,dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125;

Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di applicare la disciplina del decreto-legge n. 347 del 2003 alle imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale, con riferimento alla particolare situazione dello stabilimento ILVA S.p.A. di Taranto;

Considerato che la continuità del funzionamento produttivo di stabilimenti industriali di interesse strategico costituisce una priorità di carattere nazionale, soprattutto in relazione ai rilevanti profili di protezione dell'ambiente e della salute;

Ritenuta altresì la straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni per l'attuazione di interventi di bonifica, nonché di riqualificazione e rilancio della città e dell'area di Taranto, anche mediante la realizzazione di progetti infrastrutturali e di valorizzazione culturale e turistica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 24 dicembre 2014;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro dello sviluppo economico, del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dei beni e delle attività culturali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze;

Emana

il seguente decreto-legge:

Art. 1

(Rafforzamento della disciplina dell'amministrazione straordinaria delle imprese di interesse strategico nazionale in crisi)

1. All'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, di seguito denominato «decreto-legge n. 347», dopo le parole: «Per le imprese operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali» sono inserite le seguenti: «ovvero che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231».

2. Dopo il comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge n. 347, è inserito il seguente: «2-ter. L'istanza per l'ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria di imprese che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, che sono soggette al commissariamento straordinario ai sensi del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, è presentata dal commissario straordinario. In tal caso, il commissario straordinario ai sensi del medesimo decreto-legge n. 61 del 2013 può essere nominato commissario straordinario della procedura di amministrazione straordinaria.».

3. All'articolo 4, comma 2, del decreto-legge n. 347, le parole: «operanti nel settore dei servizi pubblici essenziali» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all'articolo 2, comma 2, secondo periodo,».

4. All'articolo 4 del decreto-legge n. 347, il comma 4-quater è sostituito dal seguente: «4-quater. Fermo restando il rispetto dei princìpi di trasparenza e non discriminazione per ogni operazione disciplinata dal presente decreto, in deroga al disposto dell'articolo 62 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e con riferimento alle imprese di cui all'articolo 2, comma 2, secondo periodo, e alle imprese del gruppo, il commissario straordinario individua l'affittuario o l'acquirente, a trattativa privata, tra i soggetti che garantiscono, a seconda dei casi, la continuità nel medio periodo del relativo servizio pubblico essenziale ovvero la continuità produttiva dello stabilimento industriale di interesse strategico nazionale anche con riferimento alla garanzia di adeguati livelli occupazionali, nonché la rapidità dell'intervento e il rispetto dei requisiti previsti dalla legislazione nazionale e dai Trattati sottoscritti dall'Italia. Il canone di affitto o il prezzo di cessione non sono inferiori a quelli di mercato come risultanti da perizia effettuata da primaria istituzione finanziaria con funzione di esperto indipendente, individuata con decreto del Ministro dello sviluppo economico. Si applicano i commi terzo, quinto e sesto dell'articolo 104-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. L'autorizzazione di cui al quinto comma dell'articolo 104-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è rilasciata dal Ministro dello sviluppo economico e al comitato dei creditori previsto dal terzo e quinto comma si sostituisce il comitato di sorveglianza. Si applicano i commi dal quarto al nono dell'articolo 105 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.».

5. All'articolo 4, comma 4-sexies, del decreto-legge n. 347, l'ultimo periodo è sostituito dal seguente: " In caso di affitto o cessione di aziende e rami di aziende ai sensi del presente decreto, le autorizzazioni, certificazioni, licenze, concessioni o altri atti o titoli sono rispettivamente trasferiti all'affittuario o all'acquirente.".

6. Ai commi 1 e 4 dell'articolo 4-bis del decreto-legge n. 347, le parole: «di ristrutturazione» sono soppresse.

7. All'articolo 6, comma 1, del decreto-legge n. 347 dopo il primo periodo è inserito il seguente: "Non sono in ogni caso soggetti ad azione revocatoria gli atti e i pagamenti compiuti in pendenza del commissariamento straordinario di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, in attuazione della finalità di cui all'articolo 1, comma 2, del medesimo decreto-legge n. 61 del 2013.».

Art. 2

(Disciplina applicabile ad ILVA S.p.A.)

1. L'ammissione di ILVA S.p.A. alla amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 347, determina la cessazione del commissariamento straordinario di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89, di seguito denominato «decreto-legge n. 61». Il commissario straordinario subentra nei poteri attribuiti per i piani e le azioni di bonifica previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 105 dell'8 maggio 2014, di seguito «D.P.C.M. 14 marzo 2014».

2. In attuazione dell'articolo 1-bis del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, i rapporti di valutazione del danno sanitario si conformano ai criteri metodologici stabiliti dal decreto ministeriale di cui al comma 2 del medesimo articolo 1-bis del decreto-legge n. 207 del 2012. Il rapporto di valutazione del danno sanitario non può unilateralmente modificare le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale in corso di validità, ma legittima la regione competente a chiedere il riesame ai sensi dell'articolo 29-octies, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni. Fatta salva l'applicazione dell'articolo 12 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, i contenuti del D.P.C.M. 14 marzo 2014 possono essere modificati con i procedimenti di cui agli articoli 29-octies e 29-nonies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni.

3. L'attività di gestione dell'impresa eseguita nel rispetto delle prescrizioni del D.P.C.M. 14 marzo 2014 è considerata di pubblica utilità ad ogni effetto e gli interventi ivi previsti sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità e costituiscono varianti ai piani urbanistici.

4. Per l'attuazione degli interventi previsti dal piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, il procedimento di cui all'articolo 1, comma 9, del decreto-legge n. 61 è avviato su proposta del commissario entro quindici giorni dalla disponibilità dei relativi progetti. I termini per l'espressione dei pareri, visti e nulla osta relativi agli interventi previsti per l'attuazione del detto piano devono essere resi dalle amministrazioni o enti competenti entro venti giorni dalla richiesta, prorogati di ulteriori venti giorni in caso di richiesta motivata e, qualora non resi entro tali termini, si intendono acquisiti con esito positivo. Per la valutazione d'impatto ambientale e per i pareri in materia di tutela sanitaria e paesaggistica, restano ferme le previsioni del citato articolo 1, comma 9, secondo periodo, del decreto-legge n. 61.

5. Il Piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014 si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 sono realizzate, almeno nella misura dell'80 per cento, le prescrizioni in scadenza a quella data. Entro il 31 dicembre 2015, il commissario straordinario presenta al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'ISPRA una relazione sulla osservanza delle prescrizioni del piano di cui al primo periodo. Con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stabilito il termine ultimo per l'attuazione di tutte le altre prescrizioni.

6. L'osservanza delle prescrizioni del piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, nei termini previsti dai commi 4 e 5 del presente articolo, equivale e produce i medesimi effetti derivanti dal rispetto di idonei modelli di organizzazione dell'ente in relazione alla responsabilità dei soggetti in posizione apicale per fatti di rilievo penale o amministrativo di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per gli illeciti strettamente connessi all'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale e delle altre norme a tutela dell'ambiente, della salute e dell'incolumità pubblica, anche non previste dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231. Il rispetto delle previsioni di cui al primo periodo del presente comma da parte del commissario straordinario, e dei soggetti da questi funzionalmente delegati che curino la predisposizione e l'attuazione del piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, costituisce adempimento delle migliori regole cautelari in materia di ambiente, salute, sicurezza sul lavoro e incolumità pubblica ed esclude la punibilità delle condotte poste in essere in attuazione del piano.

7. All'articolo 217-bis, comma 1, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "e alle operazioni di finanziamento effettuate ai sensi dell'articolo 22-quater, comma 1, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, nonché ai pagamenti ed alle operazioni compiuti, per le finalità di cui alla medesima disposizione, con impiego delle somme provenienti da tali finanziamenti."

8. Si applica, in quanto compatibile, la disciplina del decreto-legge n. 61. Si applica l'articolo 12 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, come modificato dal presente decreto, e l'articolo 22-quater, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.

9. I riferimenti al commissario e al sub-commissario, nonché al commissariamento e alla gestione commissariale contenuti negli articoli 1 e 2-quinquies del decreto-legge n. 61, nell'articolo 12 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e nell'articolo 22-quater, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, si devono intendere come riferimenti, rispettivamente, al commissario straordinario e alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge n. 347, e il riferimento al piano di cui al comma 5 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 61 si deve intendere come riferimento al piano di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014.

10. Il riferimento alla gestione commissariale, di cui al comma 9-bis dell'articolo 1 del decreto-legge n. 61, si intende riferito alla gestione aziendale da parte del commissario e dell'avente titolo, sia esso affittuario o cessionario, e la disciplina ivi prevista si applica all'impresa commissariata o affittata o ceduta, fino alla data di cessazione del commissariamento ovvero a diversa data fissata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dello sviluppo economico.

11. Al comma 1 dell'articolo 252–bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: "L'esclusione cessa di avere effetto nel caso in cui l'impresa è ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria di cui al decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39.".

Art. 3

(Disposizioni finanziarie)

1. Il comma 11-quinquies dell'articolo 1 del decreto-legge n. 61 è sostituito dal seguente: "11-quinquies. Ai fini dell'attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell'impresa soggetta a commissariamento, il giudice procedente, su richiesta del commissario straordinario, dispone il versamento in una contabilità speciale intestata al commissario straordinario delle somme sottoposte a sequestro penale, nei limiti di quanto costituisce oggetto di sequestro, anche in relazione ai procedimenti penali diversi da quelli per reati ambientali o connessi all'attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale, a carico del titolare dell'impresa, ovvero, in caso di impresa esercitata in forma societaria, a carico dei soci di maggioranza o degli enti, ovvero dei rispettivi soci o amministratori, che abbiano esercitato attività di direzione e coordinamento sull'impresa commissariata prima del commissariamento, con il vincolo, quanto al loro utilizzo, all'attuazione degli obblighi connessi alla funzione commissariale esercitata.".

2. Ai fini dell'attuazione delle prescrizioni di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, il Commissario straordinario, oltre alla o alle contabilità speciali di cui all'articolo 1, comma 11-quinqiues, del decreto legge n. 61, come modificato dal comma 1, si avvale di altre contabilità speciali, aperte presso la tesoreria statale, in cui possono confluire:

le risorse assegnate dal CIPE con propria delibera, previa presentazione di un progetto di lavori, a valere sul Fondo di sviluppo e coesione di cui al decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, nel limite delle risorse annualmente disponibili;

altre eventuali risorse a qualsiasi titolo destinate o da destinare agli interventi di risanamento ambientale.

3. Il Commissario straordinario rendiconta, secondo la normativa vigente, l'utilizzo delle risorse di tutte le contabilità speciali aperte e ne fornisce periodica informativa al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero dello sviluppo economico e alle autorità giudiziarie interessate.

4. Resta fermo il diritto di rivalsa da parte dello Stato nei confronti dei responsabili del danno ambientale.

5. Allo scopo di definire tempestivamente le pendenze tuttora aperte, il commissario straordinario, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, previo parere dell'Avvocatura Generale dello Stato e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è autorizzato a sottoscrivere con FINTECNA S.p.A., in qualità di avente causa dell'IRI, un atto convenzionale di liquidazione dell'obbligazione contenuta nell'articolo 17.7 del contratto di cessione dell'ILVA Laminati Piani (oggi ILVA S.p.A.). La liquidazione ha carattere transattivo e definitivo e non è soggetta ad azione revocatoria. Le somme rinvenienti da detta operazione affluiscono nella contabilità ordinaria del Commissario straordinario.

Art. 4

(Modifiche all'articolo 12 del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125)

1. Il comma 2 dell'articolo 12 del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è sostituito dal seguente: "2. Sono approvate le modalità di costruzione e di gestione delle discariche di cui al comma 1 per rifiuti non pericolosi e pericolosi, presentate in data 19 dicembre 2014 dal sub-commissario di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Successive modifiche sono approvate ed autorizzate dall'autorità competente ai sensi e con le procedure di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentiti i comuni interessati, sono definite le misure di compensazione ambientale e le eventuali ulteriori garanzie finanziarie di cui all'articolo 208, comma 11, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La mancata prestazione delle garanzie entro 120 giorni dall'adozione del decreto di cui al periodo precedente comporta la decadenza dall'esercizio dell'attività di cui al presente comma .".

2. Il comma 6 dell'articolo 12 del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è sostituito dal seguente: "6. Sono approvate le modalità di gestione e smaltimento dei rifiuti del ciclo produttivo dell'Ilva di Taranto presentate in data 11 dicembre 2014 dal sub-commissario di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legge 4 giugno 2013, n. 61, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 89. Successive modifiche sono approvate ed autorizzate dall'autorità competente ai sensi e con le procedure di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sono definite eventuali ulteriori garanzie finanziarie di cui all'articolo 208, comma 11, lettera g), del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152. La mancata prestazione delle garanzie entro 120 giorni dall'adozione del decreto di cui al periodo precedente comporta la decadenza dall'esercizio dell'attività di cui al presente comma.".

Art. 5

(Contratto istituzionale di sviluppo per l'area di Taranto)

1. In considerazione della peculiare situazione dell'area di Taranto, l'attuazione degli interventi che riguardano detta area è disciplinata dallo specifico Contratto Istituzionale di Sviluppo di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, di seguito denominato "CIS Taranto".

2. Il CIS Taranto è sottoscritto dai soggetti che compongono il Tavolo istituzionale permanente per l'Area di Taranto, istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri presso la struttura di missione "Aquila-Taranto-POIN Attrattori" della Presidenza del Consiglio dei Ministri, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Il Tavolo istituzionale ha il compito di coordinare e concertare tutte le azioni in essere nonché definire strategie comuni utili allo sviluppo compatibile e sostenibile del territorio ed è presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed composto da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, della difesa, dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché da un rappresentante della Regione Puglia, della Provincia di Taranto, del Comune di Taranto e dei Comuni ricadenti nella predetta area, dell'Autorità Portuale di Taranto, del Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto e del Commissario straordinario del Porto di Taranto, dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa. Il Tavolo istituzionale assorbe le funzioni di tutti i tavoli tecnici comunque denominati su Taranto istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e di quelli costituiti presso le amministrazioni centrali, regionali e locali.

3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Art. 6

(Programma per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell'area di Taranto)

1. Il Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto di cui al decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171, è incaricato di predisporre un Programma di misure, a medio e lungo termine, per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell'intera area di Taranto, dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale, volto a garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente e mitigare le relative criticità riguardanti la competitività delle imprese del territorio tarantino. Il Programma è attuato secondo disposizioni contenute nel CIS Taranto di cui all'articolo 5 del presente decreto.

2. Alla predisposizione ed attuazione del Programma di misure di cui al comma 1 sono destinate, per essere trasferite sulla contabilità speciale intestata al Commissario straordinario, le risorse di cui al decreto-legge 7 agosto 2012, n. 129, convertito dalla legge 4 ottobre 2012, n. 171, di cui alla delibera CIPE 17/03 e delibere ad essa collegate 83/03 e successive modificazioni e 179/06, nonché le risorse allo scopo impegnate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ulteriori risorse che con propria delibera il CIPE può destinare nell'ambito della programmazione 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione, per il prosieguo di interventi di bonifiche e riqualificazione dell'area di Taranto.

3. Una quota non superiore all'1,5 per cento delle risorse di cui al comma 2, trasferite al Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell'area di Taranto per le finalità del comma 1, può essere utilizzata dal Commissario stesso per tutte le attività tecnico-amministrative connesse alla realizzazione degli interventi.

4. Il Commissario straordinario, per le attività di propria competenza, può avvalersi di altre pubbliche amministrazioni, università o loro consorzi e fondazioni, enti pubblici di ricerca, secondo le previsioni di cui all'articolo 15, comma 1, della legge 8 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni.

Art. 7

(Disposizioni sul commissario straordinario del porto di Taranto)

1. In conformità con le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 1002, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, i poteri del Commissario straordinario del Porto di Taranto, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 febbraio 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2012, sono estesi a tutte le opere ed agli interventi infrastrutturali necessari per l'ampliamento e l'adeguamento del porto medesimo.

2. Per la realizzazione di tali opere ed interventi, in applicazione dei generali principi di efficacia dell'attività amministrativa e di semplificazione procedimentale, autorizzazioni, intese, concerti, pareri, nulla osta ed atti di assenso, comunque denominati, degli enti locali, regionali, dei Ministeri nonché di tutti gli altri competenti enti e agenzie, devono essere resi entro il termine di giorni trenta dalla richiesta del Commissario straordinario del Porto di Taranto. Decorso inutilmente detto termine, tali atti si intendono resi in senso favorevole.

3. La pronuncia sulla compatibilità ambientale delle opere è emessa nel termine di giorni sessanta dalla richiesta, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135.

Art. 8

(Piano nazionale della città e relativi interventi nel comune di Taranto)

1. Il Comune di Taranto adotta ad integrazione del progetto presentato per il Piano nazionale delle città un Piano di interventi per il recupero, la riqualificazione e la valorizzazione della città vecchia di Taranto e lo trasmette al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al fine dell'acquisizione degli atti di assenso, comunque denominati, di competenza. Il Ministero, entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti, valuta la compatibilità degli interventi con le esigenze di tutela del patrimonio culturale. La valutazione positiva del Ministero, espressa con decreto del Ministro sulla base dei pareri degli uffici periferici e centrali competenti, sostituisce tutte le autorizzazioni, i nulla osta e gli atti di assenso comunque denominati di competenza del Ministero medesimo. Le autorizzazioni, le intese, i concerti, i pareri, i nulla osta e ogni altro atto di assenso comunque denominato degli enti locali, regionali, degli altri Ministeri, nonché di tutti gli altri competenti enti e agenzie, sono resi entro il termine di giorni trenta dalla richiesta del Comune di Taranto. Decorso inutilmente detto termine, tali atti si intendono resi in senso favorevole, ferme restando le competenze regionali in materia urbanistica.

2. La pronuncia sulla compatibilità ambientale delle opere è emessa nel termine di giorni sessanta dalla richiesta, ai sensi dell'articolo 13, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135.

3. I Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo e della difesa, previa intesa con la Regione Puglia e il Comune di Taranto, da acquisire nell'ambito del Tavolo istituzionale di cui all'articolo 5, predispongono, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, un progetto di valorizzazione culturale e turistica dell'Arsenale militare marittimo di Taranto, ferme restando la prioritaria destinazione ad arsenale del complesso e le prioritarie esigenze operative e logistiche della Marina Militare. Il progetto è approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

4. Fermo restando quanto disposto in materia di norme e piani urbanistici ed edilizi dall'articolo 2, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, il decreto di approvazione del progetto sostituisce tutte le autorizzazioni, i pareri e gli atti di assenso comunque denominati di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

5. Il Piano e il progetto di cui ai commi 1 e 3 sono sottoposti al CIPE ai fini dell'approvazione e assegnazione delle risorse finanziarie a valere sul Fondo di sviluppo e coesione di cui al decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88, nel limite delle risorse annualmente disponibili.

Art. 9

(Entrata in vigore)

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sarà presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

 

Tra le tante stranezze che ho dovuto affrontare nella mia professione, questa merita menzione.

Il Comune di Taranto, con delibera di Giunta Comunale del lontano 2001, decise di dotarsi di un canile municipale. Non disponendo delle risorse sufficienti, per realizzarlo decise di utilizzare lo strumento dell'appalto di realizzazione e gestione, predisponendo quindi bando di gara per la realizzazione e gestione decennale del canile.

La delibera di G.C. dell'epoca prevedeva che l'aggiudicatario provvedesse alla realizzazione della struttura per conto e in aderenza alle direttive dell'Ente, ed alla sua gestione decennale, e quindi alla restituzione all'Ente della stessa al termine del periodo di gestione.

Il corrispettivo riconosciuto dall'Ente all'aggiudicatario avrebbe compreso il costo di acquisto delle aree, di costruzione e allestimento del canile, nonchè di gestione degli animali in esso custoditi.

Nel 2003 l'appalto veniva aggiudicato ad una società che si obbligava a quanto sopra, e realizzava il "canile municipale", nel quale ha ospitato per dieci anni i cani randagi di competenza del Comune di Taranto, oltre che di altri comuni limitrofi.

Il Comune di Taranto ha versato nell'ambito di questo appalto alla società affidataria i corrispettivi contrattualizzati, per un importo complessivo di più di tre milioni e quattrocentomila euro, oltre IVA.

Alla scadenza del periodo decennale di gestione, però, la società appaltatrice ha comunicato al Comune di Taranto che il "canile municipale" per lei non è in realtà "municipale", ma "suo", e si è rifiutata di restituirlo.

Inoltre ha chiesto l'adeguamento del corrispettivo introducendo una serie di ricorsi presso il TAR Lecce nei quali ha rivendicato ingenti importi a suo dire dovuti per l'attività svolta, riuscendo anche ad ottenere la nomina di un "commissario ad acta" per la quantificazione degli importi stessi.

Ciliegina sulla torta: parte del "canile municipale" (il 50% dell’opera realizzata) è stata venduta ad altra società, alla quale risulta attualmente intestata, nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare in corso presso il Tribunale di Taranto per debiti personali dei soci della società appaltatrice.

Nel frattempo nella città di Taranto l'emergenza randagi si fa sempre più allarmante, e il Comune ha deciso di correre ai ripari, affidandosi ad un avvocato esterno, il sottoscritto, per la disamina complessiva dell'articolata vicenda.

Dalla disamina dei documenti ricevuti, sono subito emerse una serie di stranezze: copie di contratti con clausole che scomparivano e nel tempo si modificavano, ricorsi al TAR in cui si sosteneva prima una tesi, avendo ragione, e poi la tesi opposta, avendo di nuovo ragione. Il tutto in assenza di una difesa puntuale dell'Ente.

Quindi si è proceduto alla predisposizione di idonee difese nei giudizi in corso presso il TAR Lecce, e si è introdotto giudizio ordinario dinanzi al Tribunale civile per la rivendicazione della proprietà del canile.

Il primo atto si è per ora risolto a favore del Comune di Taranto.

Infatti, il 16.10.14 il TAR Puglia sede di Lecce ha depositato la propria sentenza n. 2542/14 con la quale ha rigettato il ricorso proposto dalla società appaltatrice Ecolife s.r.l., con gli Avvocati Andrea Sticchi Damiani e Giuseppe Misserini nei confronti del Comune di Taranto, difeso in giudizio dall'Avv. Massimo Moretti.

Con il ricorso in questione la società ricorrente aveva richiesto il riconoscimento di ingenti somme (pari a circa ottocentomila euro) nei confronti del Comune di Taranto, a titolo di corrispettivi contrattuali che sarebbero maturati a suo favore nell'ambito del rapporto intercorso con il Comune di Taranto per la “realizzazione e gestione” del Canile Municipale nell’ambito di un appalto ad essa aggiudicato nel 2003.

Il Comune di Taranto, nel costituirsi in giudizio, aveva ricostruito la lunga e complessa storia del rapporto, evidenziando, in primo luogo, il proprio diritto alla proprietà del canile, diritto invece negato dalla Ecolife s.r.l., e quindi resistendo energicamente alla richiesta di riconoscimento di ulteriori corrispettivi in favore della società ricorrente, evidenziando che le norme richiamate a sostegno del ricorso non erano in alcun modo applicabili al rapporto, poiché esse si riferiscono alla normativa in materia di appalti di lavori, mentre nella fattispecie si verte in una ipotesi di appalto di servizi, nonché che la stessa Ecolife s.r.l. aveva realizzato una struttura molto sottodimensionata rispetto a quella offerta in gara, con grave inadempimento degli obblighi assunti.

Con la sentenza sopra indicata, il TAR Lecce, dopo una serie di precedenti favorevoli ad Ecolife (come detto, anche con prospettazioni della ricorrente opposte ed incompatibili tra loro), ha finalmente cominciato a fare luce sulla vicenda, accogliendo le circostanziate tesi difensive predisposte dalla difesa del Comune e rigettando la richiesta di riconoscimento del credito avanzata dalla ricorrente, così quindi aprendo la strada alla soluzione della questione.

Soluzione che si presenta però ancora estremamente difficile in quanto, come detto, nelle more del rapporto, parte del Canile Municipale realizzato da Ecolife s.r.l. in base all'appalto del Comune di Taranto, di cui essa era risultata aggiudicataria, è stata venduta ad altra società (San Raphael s.r.l.), nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare.

A proposito di tale procedura immobiliare, il Comune di Taranto ha scoperto che la stessa non riguarda debiti della Ecolife s.r.l., ma debiti personali del socio ed amministratore e del socio di minoranza della stessa Ecolife s.r.l., così che ha dato mandato ai propri legali di fare luce anche su tale circostanza, che rischia di privare l’Ente Pubblico quantomeno di parte della proprietà del Canile Municipale, come detto realizzato da Ecolife s.r.l. in adempimento di quanto stabilito nell’appalto ad essa aggiudicato.

Una vicenda quindi estremamente complessa, che sarebbe opportuno il Comune risolvesse al più presto, rientrando nel possesso del Canile Municipale realizzato da Ecolife s.r.l. e da questa mai restituito al legittimo proprietario.

L'emergenza randagi, infatti, con l'acquisizione della struttura potrebbe essere finalmente fronteggiata disponendo di quelle risorse che ad oggi risultano insufficienti.

 

 

 

 

 

In allegato copia integrale del provvedimento del GIP di Milano.

Gli eredi di Emilio Riva hanno tutti rinunziato all'eredità, così che il Tribunale di Varese ha nominato un curatore dell'eredità giacente.

I beni di Emilio Riva, sebbene oggetto di sequestro, rientrano nella titolarità della curatela quindi.

Teniamo gli occhi bene aperti sull'utilizzo di queste somme.

Legambiente chiede al neo Presidente del Consiglio dei Ministri Renzi che, in occasione dei suoi settimanali incontri con le scuole italiane, organizzi al più presto una visita in una delle scuole del quartiere Tamburi di Taranto, da tempo soggette ai gravi effetti dell'inquinamento industriale proveniente dal vicino impianto ILVA.

Il 28 febbraio, come è stato ribadito nel seminario tenuto da Legambiente in pari data, è scaduto, ancora una volta inutilmente, il termine per l'approvazione da parte del Ministro dell'Ambiente del piano ambientale redatto dal comitato di esperti nominato con il decreto che ha disposto il Commissariamento Starordinario della società ILVA S.p.A..

Da Legambiente si leva il forte richiamo a tutte le istituzioni, le forze politiche e le associazioni territoriali perchè si richieda con forza ed unitariamente che i tempi previsti nei numerosi decreti "salva ILVA" vengano rispettati.

Non c'è più tempo da perdere.

Parafrasando quello che ha detto Renzi alla convention del PSE di oggi, parlando di Europa e di riforme: lo dobbiamo ai nostri figli.

Quindi, con la consuetà rapidità che contraddistingue la sua azione, che venga a Taranto portando la notizia che i tempi per il risanamento vengono rispettati, e che si sta provvedendo all'approntamento in tempi stretti del "pianoi industriale", magari portando piccone e cazzuola per inaugurare contestualmente i lavori di copertura dei parchi minerali.

Matteo vuoi essere cool and speedy? qui c'è l'occasione che aspettavi

 

La sentenza che si allega induce ad alcune considerazioni più di carattere politico che giuridico.

La via giudiziaria, pur correttamente impostata e portata avanti, non è mai la più idonea a risolvere problemi complessi come quelli connessi all'impianto industriale ILVA di Taranto.

La complessa questione va risolta in sede politica tenendo conto di tutti gli interessi in campo, ma facendo tra essi necessariamente prevalere quello relativo al diritto alla salute di lavoratori e cittadini.

L'azione portata avanti sino ad oggi dalla maggioranza parlamentare e dal governo non sembra ancora efficace, e la sentenza di Cassazione che si allega aggiunge ulteriori motivi di preoccupazione sul positivo svolgersi e definirsi della vertenza in atto.

Allo stato non sembrano garantiti nè il diritto alla salute ci lavoratori e cittadini nè il rispetto del principio del "chi inquina paga".

Forse è davvero necessario un cambio di passo. Politico, non giudiziario.

 

Qui di seguito riporto un articolo pubblicato sul quotidiano giuridico Ipsoa, che riprendendo il contenuto di una recente sentenza dell S.C. fa il punto sulla "fallibilità" delle società partecipate che svolgono pubblici servizi, oltre che sulla responsabilità contabile degli amministratori.

L'argomento continua ad essere estremamente dibattuto e ricco di incognite per gli operatori, costretti a districarsi in un panorama legislativo fratsagliato ed a volte contraddittorio, peraltro più volte soggetto a interventi della Corte Costrituzionale, che ne hanno modificato sostanzialmente la portata, sia sotto il profilo giuridico che sotto quello politico-amministrativo.

Allo stato, duole ricordare, non esiste una disciplina dei servizi pubblici e delle società partecipate che dia responsabilmente agli operatori gli strumenti utili ad una corretta gestione del settore, da considerarsi certamente strategico per l'economia nazionale, oltre che di diretta influenza sulla vita quotidiana dei cittadini.

La sentenza che si riporta conclude con l'affermazione della necessità che una società partecipata da enti pubblici che svolge un servizio pubblico possa essere dichiarata fallita. Emerge quindi la natura "privatistica" della società, a dispetto di una serie di norme quali quelle che inducono invece a ritenere la natura di tali soggetti sempre più assimilabile al settore pubblicistico.

La strada verso un chiarimento definitivo è quindi ancora lunga.

Nel frattempo gli operatori si attrezzino.

Società a partecipazione pubblica: possibile dichiararne il fallimento?

La scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità.

Il fenomeno delle società a partecipazione pubblica non è certo nuovo nel nostro ordinamento: il codice civile del 1942 già dettava, agli arti. 2458, 2459 e 2460 c.c., le disposizioni applicabili, in tema di nomina e revoca degli amministratori e dei sindaci, alle "società con partecipazione dello Stato o di altri enti pubb/icr (ed a quelle il cui atto costitutivo prevedesse, pur in mancanza di una partecipazione azionaria, che la nomina di uno o più amministratori e sindaci spettasse alla PA) ma, per lungo tempo, non si è dubitato che si trattasse di società di diritto comune, interamente soggette alla disciplina civilistica ( e perciò anche alla legge fallimentare), distinte dagli enti pubblici (economici) aventi ad oggetto esclusivo o principale un'attività di impresa (art. 2201 c.c.), ma non fallibili ai sensi degli arti. 2221 c.c. ed 1 comma 10 I. fall. .

A partire quantomeno dall'ultimo decennio del secolo scorso, il contesto politicoeconomico di riferimento ha però subito un innegabile mutamento: il progressivo assottigliarsi della linea di confine fra l'agire pubblico e l'agire privato, l'abbandono di una concezione autoritativa della P.A. in favore di una sua concezione funzionale, nella quale i poteri di cui essa è dotata sono intesi come meramente strumentali alla tutela dell'interesse pubblico, il convincimento diffuso che tale interesse possa essere maggiormente garantito attraverso il ricorso ad istituti di diritto comune, indubbiamente più snelli di quelli usualmente a disposizione dell'apparato burocratico, la fiducia nelle capacità del "mercato" di stimolare la competitività, e quindi di regolamentare al meglio anche attività di contenuto economico tipicamente riservate alla pubblica amministrazione, hanno dato luogo alla sempre più diffusa costituzione (al vero e proprio proliferare) di società c.d. pubbliche, a partecipazione integralmente pubblica o mista, pubblica-privata, o sottoposte ad una particolare influenza da parte di enti pubblici, aventi ad oggetto la gestione non solo di beni proprietà pubblica, ma di servizi di interesse pubblico, in precedenza erogati dallo Stato o dagli enti territoriali attraverso aziende municipalizzate.

Non è invece mutato il quadro normativo generale: il legislatore ha ribadito la scelta favorevole alla riconducibilità delle società pubbliche fra quelle di diritto comune sia con il d. Igs. n. 3/03, di riforma del diritto societario, che ha sostituito agli arti. 2458/60 gli arti. 2449 e 2450 c.c. (quest'ultimo, fra l'altro - relativo all'attribuzione allo Stato o ad altri enti pubblici privi di partecipazione azionaria della facoltà di nomina di amministratori e sindaci - abrogato, a seguito dell'awio di una procedura d'infrazione da parte della Commissione europea, dall'art. 3 comma 1 del d.l. n. 10/07, convertito nella I. n. 46/07), sia col d.lgs. n. 5/06 di riforma del diritto fallimentare, che non ha modificato l'art. 1 comma 1° del R.D. n. 267/42.

E, come sottolineato da autorevole dottrina, neppure le innumerevoli disposizioni normative speciali che, nel corso degli anni, sono state emanate in tema di società pubbliche, costituiscono un corpus unitario, sufficiente a regolamentame attività e funzionamento ed a modificame la natura di soggetti di diritto privato, cosi da sottrarle espressamente alla disciplina civilistica.

La sempre più stretta commistione fra la sfera pubblica e quella privata ha, nel contempo, condotto all'emanazione di numerose leggi speciali applicabili ad enti, società pubbliche e società formalmente private, accomunati dall'agire in settori di pubblico interesse: in questa sede, a mero titolo esemplificativo, si possono citare l'art. 3, comma 26, del d. Igs. n. 163/06 (codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e fomiture), che definisce organismo pubblico, cui è imposto il rispetto delle norme dettate per gli appalti pubblici, qualsiasi organismo, anche in forma societaria, istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale e dotato di personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico" e l'art. 22 della I. n. 241/90, come modificato dall'art. 15 della I. n. 15105, che prevede il diritto degli interessati di prendere visione ed estrarre copia dei documenti detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse e che, alla lettera e), ricomprende nella nozione di pubblica amministrazione "tutti i soggetti di diritto pubblico ed i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario".

Tuttavia, è proprio dall'esistenza di specifiche normative di settore che, negli ambiti da esse delimitati, attraggono nella sfera del diritto pubblico anche soggetti di diritto privato, che può ricavarsi a contrario, che, ad ogni altro effetto, tali soggetti continuano a soggiacere alla disciplina privatistica.

In altre occasioni è stata la giurisprudenza a ritenere applicabili alle società pubbliche o, comunque, attive in settori di pubblico interesse, determinate discipline pubblicistiche: Cass. S.U. n. 9096/05 ha affermato che la qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sé sufficiente ad escluderne la natura di istituzione pubblica e quindi ad impedire l'iscrizione nell'apposito albo speciale dell'avvocato operante presso il suo ufficio legale; Cass. S.U. n. 4511/06 ( seguita da altre pronunce conformi) ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti in relazione a fattispecie di danno erariale cagionato da società beneficiarie dell'erogazione di fondi pubblici, attraverso i quali erano state chiamate a partecipare alla realizzazione di un programma imposto dalla P.A.; Cass. S.U. n. 26806/09 ha ritenuto che l'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori spetta alla giurisdizione della Corte dei conti ogni qualvolta trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'utilizzo di risorse pubbliche, o da arrecare pregiudizio al suo patrimonio (con la precisazione che, in quest'ultimo caso, l'azione erariale concorre con l'azione civile di responsabilità).

Le sentenze citate, nel prevedere l'applicabilità a società di capitali di norme pubblicistiche solo a specifici fini, non si pongono però in contrasto con il principio giurisprudenziale costantemente enunciato, a partire da Cass. n. 58179 (proprio in una fattispecie in cui si discuteva della fallibilità di una s.p.a. concessionaria dello stato e partecipata da enti pubblici), secondo cui una società non muta la sua natura di soggetto privato solo perché un ente pubblico ne possiede, in tutto o in parte, il capitale; le numerose pronunce che ribadiscono tale principio (per tutte, Casso S.U. n. 7799/05) trovano fondamento nell'incontestabile rilievo che il rapporto tra società ed ente pubblico é di assoluta autonomia, posto che l'ente può incidere sul funzionamento e sull'attività della società non già attraverso l'esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei componenti degli organi sociali di sua nomina.

In materia fallimentare, proprio in questa logica, ancor di recente la Suprema corte ha avuto occasione di affermare che una società per azioni il cui statuto non evidenzi poteri speciali di influenza ed ingerenza dell'azionista pubblico, ulteriori rispetto a quelli previsti dal diritto societario, ed il cui oggetto sociale non contempli attività di interesse pubblico da esercitarsi in forma prevalente, comprendendo, invece, attività di impresa pacificamente esercitabili da società di diritto privato, non perde la sua qualità di soggetto privato - e, quindi, ove ne sussistano i presupposti, di imprenditore commerciale fallibile - per il fatto che essa, partecipata da un comune, svolga anche funzioni amministrative e fiscali di competenza di quest'ultimo (Cass. n. 21991/012).

Nel contesto frammentario e multiforme di cui si è cercato sommariamente di dar conto si è tuttavia fatta strada la tesi, di recente avanzata anche nella giurisprudenza di merito, che vi sono società partecipate aventi sostanziale natura giuridica pubblica, desumibile in via interpretativa da taluni indici (in linea di massima, e di volta in volta, rawisati in limitazioni statutarie all'autonomia degli organi societari, nell'esclusiva titolarità pubblica del capitale, nell'ingerenza nella nomina degli amministratori da parte di organi promananti dallo stato, nell'erogazione di risorse pubbliche per il raggiungimento dello scopo), le quali vanno equiparate ad ogni effetto (e dunque anche ai fini della loro esenzione dal fallimento) agli enti pubblici.

Va subito detto che la tesi mal si concilia con la perdurante vigenza del principio generale stabilito dall'art. 4 della I. n. 70/75, che, nel prevedere che nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge, evidentemente richiede che la qualità di ente pubblico, se non attribuita da una espressa disposizione di legge, debba quantomeno potersi desumere da un quadro normativo di riferimento chiaro ed inequivoco.

Essa, peraltro, non può essere condivisa alla luce di un'analisi del fenomeno societario nelle diverse fasi che lo caratterizzano. Va in primo luogo escluso che peculiarità, tali da giustificare l'equiparazione ad un ente pubblico di società a partecipazione pubblica, si rinvengano sul piano del soggetto, ossia dell'ente giuridico "società", e del modo in cui sono disciplinati la sua organizzazione ed il suo funzionamento, e i rapporti esistenti, al suo interno, fra i diversi organi che vi operano.

E ciò vale anche nel caso in cui norme legislative o statutarie pongano limiti alla autonomia degli organi deliberativi. posto che la volontà negoziale della società pubblica, pur se determinata da atti propedeutici dell'amministrazione, si forma e si manifesta secondo le regole del diritto privato. Ad analoga conclusione deve giungersi avuto riguardo al piano dell'attività, cioè dei rapporti che la società, in quanto soggetto riconosciuto dall'ordinamento come dotato di una propria capacità giuridica e di agire, instaura con i terzi.

Eventuali norme speciali che siano volte a regolare la costituzione della società, la partecipazione pubblica al suo capitale e la designazione dei suoi organi, non incidono, infatti, sul modo in cui essa opera nel mercato nè possono comportare il venir meno delle ragioni di tutela dell'affidamento dei terzi contraenti contemplate dalla disciplina privatistica .

Il discorso è indubbiamente più delicato quando si passa ad esaminare il piano della funzione, ossia dello scopo per il cui perseguimento la società è costituita ed agisce, non potendosi tacere che nell'operare di talune società pubbliche, in specie di quelle affidatarie di pubblici servizi, non è sempre dato ravvisare quell'attività economica a scopo di lucro che l'art. 2247 c.c. tuttora indica come elemento caratteristico di ogni società di capitali.

Ma, non potendosi al contempo disconoscere che il modello societario è andato negli anni assumendo connotati sempre più elastici, sostanzialmente svincolandosi dalla tradizionale alternativa fra causa di lucro e causa mutualistica, sino a divenire un contenitore adattabile a diverse finalità (si pensi, ad es., alle società sportive di cui alla I. n 91/81 " l'eventuale divergenza causale rispetto allo scopo lucrativo non appare sufficiente ad escludere che, laddove sia stato adottato il modello societario, la natura giuridica e le regole di organizzazione della partecipata restino quelle proprie di una società di capitali disciplinata in via generale dal codice civile.

Alla stregua delle considerazioni sin qui svolte, si può, in definitiva, concordare con l'assunto della ricorrente, secondo cui non è possibile enucleare, in via descrittiva, uno statuto unitario delle società in mano pubblica, le quali (come può accadere anche a società a capitale interamente privato) sono assoggettate alle normative pubblicistiche nei settori di attività in cui assume rilievo la natura pubblica dell'interesse perseguito, da realizzare attraverso disponibilità finanziarie pubbliche, senza che per questo possa predicarsene l'appartenenza ad un tertium genus, qualificabile come società- ente, sottratto in toto al diritto comune.

Ciò che non può condividersi è invece il corollario che da tale premessa Asidev Ecologica intende trarre, che si sostanzia nell'affermazione che la verifica dell'applicabilità alle società in mano pubblica di discipline di settore pubblico o privato, in difetto di specifiche disposizioni normative, va compiuta di volta in volta, a seconda della materia di riferimento ed in vista degli interessi tutelati dal legislatore.

In tale ottica, per venire al tema che in questa sede interessa, secondo la ricorrente non potrebbero essere dichiarate fallite le società partecipate (fra le quali essa si annovera) aventi carattere necessario per l'ente territoriale, ovvero quelle che svolgono un servizio pubblico essenziale, la cui esecuzione continuativa e regolare verrebbe ad essere pregiudicata dalla dichiarazione di fallimento.

La prima, facile, obiezione che può muoversi a tale assunto è che ciò che rileva nel nostro ordinamento ai fini dell'applicazione dello statuto dell'imprenditore commerciale non è il tipo dell'attività esercitata, ma la natura del soggetto: se così non fosse, seguendo fino in fondo la tesi, si dovrebbe giungere alla conclusione che anche le società a capitale interamente privato cui sia affidata in concessione la gestione di un servizio pubblico ritenuto essenziale sarebbero esentate dal fallimento.

Neppure è persuasivo l'argomento che, dalla necessità del servizio pubblico gestito, vorrebbe far derivare la necessità del soggetto privato che lo eroga, con conseguente sua esenzione dal fallimento.

Va intanto ricordato che il d.l. n. 134/08, convertito dalla I. n. 166/08, detta norme specifiche in materia di ristrutturazione industriale di grandi imprese in crisi che operano nel settore dei servizi pubblici essenziali, proprio al fine di assicurare che questi non subiscano interruzioni, ma non esclude che tali imprese siano sottoposte alla procedura di amministrazione straordinaria.

Risulterebbe pertanto privo di coerenza un sistema che, per contro, esonera dalla procedura concorsuale ordinaria i gestori di servizi pubblici essenziali che non raggiungono le soglie dimensionali necessarie per accedere a quella di amministrazione straordinaria.

Venendo, più specificamente al tema delle società partecipate da enti locali, la complessa disciplina ricavabile dagli art!. 112/118 del d. Igs. n. 267/08 (T.U.E.L.) e dalle successive leggi di modifica e/o di integrazione mantiene fermo il principio della separatezza fra titolarità degli impianti, delle reti e delle altre dotazioni destinati all'esercizio dei servizi pubblici (che devono restare di proprietà degli enti, salvo che questi non li conferiscano a società a capitale interamente pubblico e incedibile) e attività di erogazione dei servizi, che può essere affidata anche a soggetti privati (art. 4 comma 28 I. 138/011).

Il fallimento della partecipata, ancorché, in ipotesi, costituta all'unico scopo di gestire un determinato servizio pubblico, non preclude dunque all'ente locale, rimasto proprietario dei beni necessari all'esercizio di quel servizio, di affidarne la gestione ad un nuovo soggetto. Infine, il pericolo derivante dal rischio di interruzione del servizio, per il tempo necessario all'ente locale ad affidarlo ad un nuovo gestore, può essere evitato attraverso il ricorso all'istituto dell'esercizio provvisorio, previsto dall'art. 1041. fall.,

Va condivisa sul punto la tesi, avanzata in dottrina e seguita anche dalla giurisprudenza di merito, secondo cui nel valutare la ricorrenza di un danno grave, in presenza del quale autorizzare l'esercizio provvisorio, il tribunale può tenere conto non solo dell'interesse del ceto creditorio, ma anche della generalità dei terzi, fra i quali ben possono essere annoverati i cittadini che usufruiscono del servizio erogato dall'impresa fallita.

Né si comprende sotto quale profilo l'autorizzazione alla continuazione temporanea dell'esercizio dovrebbe comportare una inammissibile sostituzione dell'autorità giudiziaria ordinaria all'autorità amministrativa, che aveva in precedenza scelto il soggetto cui affidare la gestione e che continuerebbe ad intrattenere con questo, per la durata dell'esercizio, i medesimi rapporti che vi intratteneva prima della dichiarazione di fallimento.

Deve dunque concludersi, secondo quanto è stato correttamente rilevato in dottrina, che la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali - e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico - comporta anche che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed ai quali deve essere consentito di avvalersi di tutti gli strumenti di tutela posti a disposizione dall'ordinamento, ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con le stesse forme e con le stesse modalità.

A cura della Redazione

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(Sentenza Cassazione civile 27/09/2013, n. 22209)
18/11/2013
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