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Massimo Moretti

Massimo Moretti

Su twitter, per farla breve, mi definisco “seguace del buono e dell’equo”, riprendendo la definizione Ulpianea del diritto quale ars boni et aequi, e come giurista (dopo la maturità scientifica conseguita al Liceo G. Ferraris di Taranto, mi sono laureato in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Bari nel 1989, e sono Avvocato dal 1993) cerco di farmi guidare da questi concetti.
Ho conseguito, tra gli altri, una serie di titoli di specializzazione post laurea, sia universitari che presso primari enti di formazione privati, in diritto e tecnica degli appalti pubblici e dei servizi pubblici e in diritto societario.
Sono abilitato al patrocinio dinanzi alla Corte di Cassazione ed alle magistrature superiori dal 2006.
Come cittadino pratico la partecipazione, mi interesso, prendo parte e prendo posizione, insomma resto gramscianamente partigiano.
Mi impegno nel settore ambientalista dal 1990, e faccio politica ogni giorno, come posso.
Sono stato componente del consiglio di amministrazione dell’AMAT S.p.A., società partecipata dal Comune di Taranto operante nel settore del trasporto pubblico locale, e continuo ad interessarmi della materia del trasporto quale consulente e membro di gruppi di lavoro.
Disposto personalmente a qualsiasi discussione di principio, normalmente dissuado i miei clienti dalle “questioni di principio”.
Mi impegno per il riconoscimento della dignità del ruolo dell’avvocato, spesso svilito e, non di rado, ingiustamente umiliato.
Sportivo praticante del parquet e della palla a spicchi, più che tifoso, e comunque interista da molto prima del triplete.
Malgrado tutto ciò sorrido spesso.

La "Cittadella della Giustizia" di Taranto.

Un progetto di cui si parla da lustri, se non decenni e che sembra finalmente concretizzarsi all'orizzonte.

Dopo la firma del Protocollo d'intesa in sede ministeriale, un servizio del TgR Puglia di Mimmo Spina per fare il punto della situazione.

Come avvocato e come cittadino sarò in prima fila a spingere con tutte le energie possibili perchè il progetto non si areni e ci consenta di restituire dignità al servizio Giustizia anche in questa città.

https://www.youtube.com/watch?v=6zvN57s2S3g&t=2s

 

Qui di seguito una nota dottrinale pubblicata sulla rivista "Quotidiano Legale" sulla importante sentenza del Tribunale di Taranto n. 508/2017  (oggi si discute il giudizio di appello) con la quale è stata accolta la domanda di risarcimento proposta da Legambiente Puglia, patrocinata dal sottoscritto, per il risarcimento del danno "iure proprio" connesso all'inquinamento proveniente dallo stabilimento ILVA.

Una sentenza importante, che offre rilevanti spunti di riflessione in merito all’esistenza del diritto delle associazioni ambientaliste di ottenere il risarcimento “iure proprio” per danni di natura patrimoniale e non patrimoniale, causati da soggetti responsabili di fatti – reati contro l’ambiente, nonché in relazione alla quantificazione concreta del danno da liquidarsioffre rilevanti spunti di riflessione in merito all’esistenza del diritto delle associazioni ambientaliste di ottenere il risarcimento “iure proprio” per danni di natura patrimoniale e non patrimoniale, causati da soggetti responsabili di fatti – reati contro l’ambiente, nonché in relazione alla quantificazione concreta del danno da liquidarsi.

Ma soprattutto una sentenza che riconosce il ruolo della associazione ambientalista nella lotta a difesa dell'ambiente e della collettività jonica in anni nei quali la questione ambientale tarantina non era ancora diventata di pubblico dominio.

 

IL RISARCIMENTO IURE PROPRIO IN SEDE CIVILE PER LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE (IN RELAZIONE AI REATI AMBIENTALI).

 

IL RISARCIMENTO IURE PROPRIO IN SEDE CIVILE PER LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE (IN RELAZIONE AI REATI AMBIENTALI)

NOTA A SENTENZA – Sentenza n. 508/2017 – Tribunale di Taranto pubblicata il 22.02.2017 Giudice Dott. Antonio Pensato

 

Il caso Taranto

 

Avv.ti Claudio Ripa – Cataldo Giannattasio – Giuseppina Lo Re – Andrea Mancini 

 

SOMMARIO: 1. Premessa – 2. La legittimazione risarcitoria “iure proprio” delle associazioni ambientaliste – 3. Il nesso di causalità – 4. La tipologia del danno. Danno patrimoniale e non – 5. La liquidazione del danno. La problematica sottesa alla precisa quantificazione del danno non patrimoniale La “calibrazione” della quantificazione – 6. Conclusioni.

 

Legittimazione ad agire iure proprio delle associazioni ambientaliste per il risarcimento dei danni diretti subiti a causa del fatto reato di natura ambientale – sussistenza – presupposti – criteri di liquidazione del danno

  1. Premessa.

La sentenza in commento offre rilevanti spunti di riflessione in merito all’esistenza del diritto delle associazioni ambientaliste di ottenere il risarcimento “iure proprio” per danni di natura patrimoniale e non patrimoniale, causati da soggetti responsabili di fatti – reati contro l’ambiente, nonché in relazione alla quantificazione concreta del danno da liquidarsi.

Fin dagli anni sessanta ha avuto inizio il complesso dibattito anche in ambito internazionale, sul carattere polimorfo del bene “ambiente”, sulle lesioni che lo stesso può subire, sulla identificazione dei danni e sulla tutela risarcitoria sotto il duplice aspetto della individuazione dei danni risarcibili e della legittimazione ad agire.

Tra le sentenze antesignane della lunga elaborazione di dottrina e giurisprudenza degne di nota la sentenza del Tribunale di Bastia del 04 luglio 1985 Pres. Pancrazi (Il Foro Italiano Vol. 110 , N. 12 dicembre 1987 pp 499/500- 507/508 ) sul caso dei fanghi rossi di Scarlino, nella quale riconoscendo l’ambiente marino di per sé privo di valore riparabile, i giudici hanno ritenuto opportuno effettuare la trasposizione del concetto di danno biologico all’ambiente in quello di danno «a rilievo puramente finanziario», e sulla base del pregiudizio arrecato all’esercizio della pesca e alle attività di sfruttamento dell’ambiente marino hanno individuato un parametro da applicare ai fini della determinazione del danno arrecato e segnatamente non essendo possibile fornire prova compiuta dell’effettivo danno subito ovvero del mancato guadagno, fu comunque possibile il riconoscimento di un indennizzo compensativo della perdita della possibilità di conseguire un risultato positivo.

Altra importante pronuncia quella del First circuito of Portorico del 1992 nel caso Zoe Colocotroni, la nave cisterna per petroliere che riversò nell’oceano il carico di petrolio greggio, nella quale non potendosi attribuire valore commerciale all’area inquinata, i giudici hanno ritenuto opportuno sostituire la regola di Common Law della «diminution in value» con la regola in base alla quale il danno biologico all’ambiente va risarcito in misura corrispondente all’ammontare delle spese ragionevolmente da sostenere per la riduzione in pristino delle condizioni ambientali preesistenti all’inquinamento.

Il Trattato n. 150 Convenzione sulla responsabilità civile dei danni derivanti da attività pericolose per l’ambiente del 21.06.1993 oltre a definire il significato di taluni termini tecnici come “attività pericolosa”, “sostanze pericolose”, “organismo geneticamente modificato” etc., ha delineato un sistema fondato su una responsabilità oggettiva basato sul principio del “ chi inquina paga” e previsto regole precise per quel che riguarda la colpa della vittima, il nesso di causalità, la solidarietà nel caso di pluralità di installazioni o di siti e la sicurezza finanziaria obbligatoria per coprire la responsabilità prevista dalla Convenzione.

Il concetto di danno all’ambiente nella Convenzione è ampliato facendovi rientrare il «deterioramento dell’ambiente…» nella misura in cui non sia considerato danno alle cose o alle persone «… se ed in quanto tale deterioramento causi una perdita di guadagno economico». Il danno diretto all’ambiente viene, pertanto, quantificato nel costo delle misure preventive e di rimessa in pristino, adottate per contenere, minimizzare o ripristinare la situazione antecedente all’illecito e, qualora la restitutio in integrum sia tecnicamente impossibile, può essere imposto al danneggiante l’obbligo di introdurre nell’ambiente risorse equivalenti a quelle distrutte.

In ambito nazionale in materia di ambiente e di danno ambientale con la legge 349/86 all’art.1 c.2 è stato istituito il Ministero dell’ambiente con il «…compito di assicurare in un quadro organico la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento.».

Tale norma, nel rispetto dell’art.10 Cost. e del principio di diritto comunitario «chi inquina paga», adotta la definizione di ambiente così come delineata dalla direttiva comunitaria sulla valutazione dell’impatto ambientale; in base all’art.3 della dir.337/85 (VIA) l’ambiente è inteso come l’insieme dei fattori: uomo; fauna; flora; suolo; acqua; aria; clima; paesaggio; beni materiali; patrimonio culturale. Una definizione esplicita del bene ambiente è contenuta nell’allegato I punto 2 del D.P.C.M. del 27/12/1988 che recita:«le componenti e i fattori ambientali sono così intesi: -atmosfera : qualità dell’aria e caratterizzazione meteoclimatica; -ambiente idrico: acque sotterranee e superficiali considerate come campionamenti, come ambienti e come risorse; -suolo e sottosuolo: intesi sotto il profilo geologico, geomorfologico e podologico, nel quadro dell’ambiente in esame, ed anche come risorse non rinnovabili; -vegetazione, flora e fauna: formazioni vegetali ed associazioni animali, emergenze più significative, specie protette ed equilibri naturali; -ecosistemi: complessi di componenti e fattori fisici, chimici e biologici tra loro interagenti ed interdipendenti, che formano un sistema unitario ed identificabile per proprie strutture, funzionamento ed evoluzione temporale; -salute pubblica: come individui e comunità; -rumore e vibrazioni: considerati in rapporto all’ambiente sia naturale che umano; -radiazioni ionizzanti e non ionizzanti: considerate in rapporto all’ambiente sia naturale che umano; -paesaggio: aspetti morfologici e culturali del paesaggio, identità delle comunità umane interessate e relativi beni culturali.».

L’art.18 della legge istitutiva del Ministero dell’Ambiente, dedicato alla responsabilità ed al risarcimento del danno ambientale, al comma 1 (poi abrogato) statuiva che “Qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato” riconducendo la responsabilità del danno all’ambiente al compimento di un atto doloso o colposo posto in essere in violazione di norme di legge.

In base al comma 3 del medesimo articolo “ L’azione di risarcimento del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, è promossa dallo Stato, nonché dagli enti territoriali sui quali incidano i beni oggetto del fatto lesivo” mentre in base al comma 4 “Le associazioni di cui al precedente articolo 13 e i cittadini, al fine di sollecitare l’esercizio dell’azione da parte dei soggetti legittimati, possono denunciare i fatti lesivi di beni ambientali dei quali siano a conoscenza”.

Alle stesse associazioni, secondo il comma 5, è riconosciuto il potere di intervenire nei giudizi per danno ambientale nonché di ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.

Nella quantificazione del danno a norma del comma 6, ove non sia possibile una precisa quantificazione, è attribuito al giudice il potere di determinarne l’ammontare in via equitativa, “tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali” disponendo nella sentenza di condanna, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile (comma 8 art. 18).

Nell’intento del legislatore la via da privilegiare è il risarcimento in forma specifica con il ripristino dell’ambiente rispetto al risarcimento per equivalente.

In merito alla liquidazione del danno per equivalente con una somma di denaro, cui è dedicato il comma 6, che attribuisce al giudice il potere di determinarlo in via equitativa, deve naturalmente farsi riferimento ai criteri dettati dall’art. 2056 cc. a norma del quale “il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223,1226 e 1227” ovvero secondo i criteri di valutazione del “danno emergente” e “lucro cessante” che si trovino in rapporto di causalità con l’illecito.

Le difficoltà nella quantificazione del danno per essere l’ambiente un bene immateriale non valutabile secondo i normali prezzi di mercato sono state affrontate dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 30.12.1987 n. 641 che ha delineato il danno ambientale come patrimoniale e la possibilità di misurare l’ambiente in termini economici e testualmente in rapporto ad “una serie di funzioni con i relativi costi, tra cui quella di polizia che regolarizza l’attività dei soggetti e crea una sorveglianza sull’osservanza dei vincoli; la gestione del bene in senso economico con fine di rendere massimo il godimento e la fruibilità della collettività e dei singoli e di sviluppare le risorse ambientali. Si possono confrontare i benefici con le alterazioni; si può effettuare la stima e la pianificazione degli interventi di preservazione, di miglioramento e di recupero, si possono valutare i costi del danneggiamento.

Il tutto consente di dare all’ambiente e quindi al danno ambientale un valore economico.”

Le prime pronunce giurisprudenziali in materia di danno ambientale con la relativa valutazione, sono state rese dalla giurisprudenza penale, che si è limitata a condanne generiche degli autori del fatto lesivo e fra esse la più risalente è della Pretura di Milano, sezione distaccata di Rho, del 29/06/1989 molto criticata dalla dottrina per la applicazione ritenuta inadeguata dei criteri di cui all’art. 18 comma 6, e altra rilevante è la n. 1286 del 27/11/2002.

Il Tribunale di Venezia affermando che “non è possibile una precisa quantificazione del danno poiché l’evento ha assunto connotazioni tali che non è stato possibile il ripristino, né è stata possibile alcuna misurazione, in termini sia quantitativi che qualitativi, della alterazione o modificazione dell’ambiente”, ha applicato il sistema della valutazione equitativa del danno ex art.18 c.6 L.349/86, utilizzando il criterio della gravità della colpa, sebbene poi non se ne individui appieno la sua incidenza nella determinazione del quantum, ed il criterio relativo al costo necessario per il ripristino, calcolato sulla base del valore dell’attività di ripristino ambientale volta alla depurazione dell’acqua derivante dall’abbattimento dell’ammoniaca, sia pure affermando che “non può considerarsi risolutivo di ogni problema, essendo certo che non consente l’abbattimento dell’intera quantità di ammoniaca presente in atmosfera”.

In ordine al parametro del profitto conseguito dal trasgressore, il giudice ha calcolato i giorni necessari per l’esecuzione dei lavori di sostituzione della valvola (non era stata sostituita una valvola malfunzionante) ovvero “due giorni durante i quali i reparti non avrebbero potuto produrre in quanto sarebbe stata chiusa la linea spurghi ammoniacali”, in tal modo è stato calcolato il valore della produzione a cui l’impresa avrebbe dovuto rinunciare se avesse dato luogo all’intervento di manutenzione che avrebbe evitato il verificarsi dell’incidente, con la doverosa opportuna precisazione che il profitto del trasgressore non deve essere confuso con gli utili aziendali perché una tale errata interpretazione esimerebbe in maniera inammissibile da responsabilità per danno ambientale le imprese in difficoltà o comunque prive di utili di esercizio.

  1. La legittimazione risarcitoria “iure proprio” delle associazioni ambientaliste.

La prima domanda che naturalmente ci si pone affrontando l’argomento in esame alla luce della su richiamata normativa è la seguente: può una associazione ambientalista richiedere “iure proprio” il risarcimento del danno nei confronti di un soggetto che, ponendo in essere una attività dannosa penalmente rilevante nei confronti dell’ambiente, ha causato danni direttamente alla propria sfera giuridica? La risposta è senz’altro affermativa. Tuttavia tale interrogativo non deve ritenersi così scontato se si tiene conto della normativa sviluppatasi proprio nell’ambito del diritto ambientale. E tanto impone di dover formulare alcune precisazioni.

A livello normativo, la volontà del Legislatore è stata chiaramente quella di riservare il maggiore potere risarcitorio in materia ambientale in favore dello Stato e per esso del Ministero dell’Ambiente, lasciando alle associazioni ambientaliste, nonché ad altri soggetti opportunamente individuati, limitati poteri di azione.

Segnatamente, secondo l’art. 311 del d.lgs. 152/2006, il Ministro dell’ambiente agisce, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e se necessario, per equivalente patrimoniale. Invero, allorquando si verifica un danno ambientale i responsabili sono obbligati ad adottare misure di riparazione, ponendo in essere un risarcimento in forma specifica; tuttavia, nel momento in cui tale tipologia di ristoro dei danni sia omessa, o comunque non sia soddisfacente rispetto ai termini prescritti, il Ministro dell’ambiente, secondo la citata normativa, oltre a determinare i costi per le attività necessarie per raggiungere gli obbiettivi preposti per il risanamento ambientale, è tenuto ad agire nei confronti del responsabile al fine di ottenere il risarcimento corrispondente alle somme necessarie per compiere le citate attività che sono state omesse.

Di contro, sfogliando la normativa contenuta nel Testo Unico Ambientale, non si evince che il Legislatore abbia previsto per le associazioni ambientaliste, la possibilità di proporre autonoma azione risarcitoria “iure proprio”, conseguenti a fatti penalmente rilevanti che incidono in maniera negativa sull’ambiente; ed invero a mente dell’art. 318 del d.lgs. 152/2006, è stato conferito esclusivamente il potere da parte delle associazioni (all’uopo individuate in forza dei criteri previsti dalla L. 349/1986), di intervenire nei giudizi per danno ambientale e ricorrere in sede di giurisdizione amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi.

Addirittura, leggendo il comma 2 lett. b) dello stesso art. 318 si ricava in modo ancora più evidente la volontà del Legislatore di limitare “l’impulso risarcitorio” alle associazioni, tenuto conto che tale diposizione normativa ha abrogato il comma 3 dell’art. 9 del d.lgs. 267/2000, che prevedeva la facoltà della associazioni ambientaliste di proporre le azioni risarcitorie di competenza del giudice ordinario che spettavano al Comune, Provincia, conseguenti al danno ambientale.

Per completezza, vi è infine da aggiungere che l’art. 309 del già citato Testo Unico Ambientale dispone che le Regioni, Provincie e gli enti locali, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimamente la partecipazione al procedimento relativo all’adozione delle misure di precauzione prevenzione o ripristino, possono presentare al Ministro dell’Ambiente denunce e osservazioni, opportunamente documentate, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiederne l’intervento statale per fini di tutela. Secondo il disposto del comma 2 anche le organizzazioni non governative e che promuovono la protezione dell’ambiente sono riconosciute titolari di tali interessi, i quali hanno anche titolo ad agire per l’annullamento degli atti e provvedimenti adottati in violazione del Codice dell’ambiente, avverso il silenzio inadempimento del Ministro dell’Ambiente, per il risarcimento del danno a causa del ritardo nell’attivazione da parte del Ministero all’adozione di misure per contenere o prevenire il danno ambientale.

Purtuttavia, le associazioni ambientaliste non sono rimaste inerti rispetto al quadro normativo che si è delineato, ed hanno iniziato ad proporre una serie di istanze risarcitorie che, con il passare del tempo, hanno determinato lo sviluppo di un granitica giurisprudenza (opportunamente citata nella sentenza in esame1) che, scavando un importante solco nell’ambito della normativa ambientale, ha espressamente ritenuto risarcibile, in favore dell’associazioni costituite a tutela di determinati beni, il danno non patrimoniale subito iure proprio, quale riflesso del reato, per il pregiudizio arrecato al perseguimento di interessi che costituiscono fine statuario, risolvendosi in un attentato alla personalità ed identità dell’ente, considerato anche il rilievo costituzionale assegnato alla libertà di associazione per lo sviluppo della propria personalità (art. 2 della Carta Costituzionale).

Si è pertanto giunti alla conclusione che la normativa speciale dal “danno ambientale” innanzi richiamata non ha sostituito, bensì si è affiancata alla disciplina generale del danno regolamentata dal codice civile, consentendo pertanto alle associazioni ambientaliste (nonostante l’abrogazione del comma 3 dell’art. 9 del d.lgs. 267/2000) a costituirsi parte civile “iure proprio”, nel processo per reati che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, ovvero avanzare autonome azioni civile volte al  risarcimento dei danni direttamente subiti ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell’ambiente2.

In buona sostanza, pur essendo normativamente previsto che spetta soltanto allo Stato, e per esso al Ministro dell’Ambiente, la legittimazione alla costituzione di parte civile nel procedimento penale per reati ambientali, al fine di ottenere il risarcimento del danno ambientale di natura pubblica, in sé considerato come lesione dell’interesse pubblico e generale all’ambiente 3 (c.d danno ambientale puro), è stato chiarito altri soggetti, singoli o associati, ivi comprese le Regioni e gli Enti pubblici territoriali minori, possono agire ai sensi dell’art. 2043 c.c., per ottenere il risarcimento di qualsiasi danno patrimoniale, ulteriore e concreto, da essi subito, diverso da quello ambientale4. Da tanto discende che le associazioni ecologiste sono legittimate, non solo a costituirsi parte civile, al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da esse concretamente patiti a causa del degrado ambientale, ma evidentemente anche ad esercitare autonoma azione civile di risarcimento di natura extracontrattuale per ottenere il ristoro di danni diretti e specifici, ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo costituzionale5. Dunque, le associazioni ambientaliste, sono legittimate ad agire quando perseguono un interesse non caratterizzato da un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l’interesse all’ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato6. Riassumendo, affinchè una associazione ambientalista possa avanzare legittimamente istanza di risarcimento danni, è preliminarmente necessario l’accertamento di un danno (o fatto penalmente rilevante) di tipo ambientale, che abbia determinato conseguentemente un danno diretto riferibile alla sfera giuridica dell’ente stesso.

  1. Il nesso di causalità.

Premesso quanto sopra, deve essere necessariamente affrontata la problematica sottesa alla dimostrazione del “nesso di causalità” da parte dell’associazione ambientalista; quest’ultima infatti è gravata dall’onere di dimostrare in giudizio (secondo il generale principio dell’onere probatorio imposto dall’art. 2697 c.c.) i fatti posti a fondamento della propria domanda ed in modo particolare provare che il “fatto – reato” ambientale abbia prodotto un danno all’associazione stessa. Non può infatti essere ritenuto sufficiente la mera qualifica di “associazione ambientalista” rapportata ad un determinato evento dannoso, essendo invece necessario dimostrare il nesso di causalità tra i due elementi.

A tale riguardo la sentenza in commento offre un importante spunto per comprendere quale associazione possa agire “iure proprio” per l’ottenimento di un risarcimento. Ed infatti il Giudice del Tribunale di Taranto argomenta ritenendo che l’azione delittuosa posta dal responsabile in danno dell’ambiente, ha avuto un effetto dannoso riflesso anche sull’attività dell’associazione, finalizzata alla interlocuzione con le altre istituzioni per cercare di limitare l’attività di inquinamento del responsabile in sede amministrativa, alla denuncia alle istituzioni stesse ed a quella giudiziaria, rappresentando i pericoli dell’azione posta in essere dal responsabile, alla organizzazione di manifestazione di protesta civile per sensibilizzare l’opinione pubblica, le istituzioni ed il responsabile del danno ambientale. Specifica il Magistrato che l’attività delittuosa ha pregiudicato le attività, previste espressamente nello statuto dell’associazione che si assume danneggiata, atteso che la perpetrarsi del reato ha, di fatto, vanificato le finalità dell’ente tanto da ingenerare nella collettività la convinzione della sostanziale inutilità della associazione stessa.

Da quanto affermato dal Magistrato Territoriale si può affermare che, ai fini della legittimazione ad avanzare una istanza risarcitoria è necessario, in primis, l’esistenza di un fatto reato che danneggia l’ambiente, e che lo stesso abbia un riflesso concreto nell’attività dell’associazione stessa. Tale “riflesso” deve estrinsecarsi avendo riguardo ai principi statutari dell’associazione, i quali rapportati all’evento dannoso denunciato devono apparire come oggettivamente lesi; sarà quindi necessario, da parte del Magistrato Giudicante, valutare in concreto che l’associazione abbia cercato effettivamente di raggiungere tali scopi statuari. In altri termini, non può ritenersi esaustiva, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, una mera comparazione in astratto tra il fatto lesivo posto in contrasto con lo statuto dell’associazione, bensì, in modo più specifico verificare che il fine cui mira l’associazione stessa sia stato effettivamente leso dall’azione dannosa.

  1. La tipologia del danno. Danno patrimoniale e non.

Altro quesito a cui deve essere data una risposta è quello che attiene alla tipologia del danno che può richiedere l’associazione ambientalista che agisce “iure proprio”.

Deve ritenersi sul punto che la domanda di risarcimento in favore dell’associazione ambientalista non deve ritenersi limitata all’ambito patrimoniale di cui all’art. 2043 cod. civ., poiché l’art. 185, 2° comma, cod. pen. – che costituisce l’ipotesi più importante “determinata dalla legge” per la risarcibilità dei danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. – dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo dei soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi “danneggiato” per avere riportato un pregiudizio eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo7. Ed infatti il diritto al risarcimento in capo alle associazioni non deriva propriamente dall’incidenza dei fatti-reato che hanno causato un danno all’ambiente, sul patrimonio dell’ente, e dal danno non patrimoniale derivante da reato ai sensi dell’art. 2059 c.c. e dell’art. 185, c.2 c.p.

  1. La liquidazione del danno. La problematica sottesa alla precisa quantificazione del danno non patrimoniale. La “calibrazione” della quantificazione.

Esaminando nello specifico eventuali voci di danno che l’associazione potrebbe richiedere non vi sono particolari dubbi per ciò che attiene quello di natura strettamente patrimoniale (si pensi ad esempio agli esborsi finanziari sostenuti dall’associazione per svolgere la propria attività istituzionale di tutela ambientale, risultata vanificata dall’azione dannosa, piuttosto che i minori introiti derivanti dal tesseramento annuale, ovvero il mancato accesso a forme di finanziamento, sempre posto in relazione al fatto dannoso). In tale ipotesi è pressochè scontata la liquidazione del danno, ponendo in essere delle “semplici” operazioni matematiche in base all’effettivo danno patrimoniale subito.

Maggiori problematiche sorgono per quello che è il danno non patrimoniale. Ed infatti, tale istanza risarcitoria non è assolutamente dimostrabile in termini precisi, e pertanto il Magistrato dovrà procedere per equivalente e con criterio equitativo, in forza dell’art. 1126 c.c.; tuttavia l’ostacolo maggiore è costituito proprio dalla quantificazione in termini monetari del danno, tenuto conto che il Giudicante per tali voci di danno non è in possesso in un riferimento preciso di tipo “tabellare” da cui attingere e liquidare conseguentemente le somme in modo schematico. A tanto si aggiunge la obiettiva difficoltà del Magistrato nell’esplicitare le motivazioni che lo hanno determinato a monetizzare il risarcimento liquidando una somma piuttosto che un’altra, e la conseguenziale e legittima critica e/o censura dei destinatari dei provvedimenti.

La complessità dell’iter che conduce alla nella liquidazione del danno non patrimoniale è stata riconosciuta anche dalla Suprema Corte di Cassazione la quale ritiene che nel momento in cui il Giudice applica il criterio equitativo, non è tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un unico e necessario rapporto di conseguenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata8.

Si ritiene tuttavia doveroso ritenere che nell’ambito della decisione assunta il Magistrato non deve tramutare il suo potere discrezionale in un mero arbitrio, svincolato dagli altri principi del nostro ordinamento giuridico.

Sotto tale profilo è indubbio che il Magistrato, così come avvenuto nella sentenza in esame, per quantificare con maggiore esattezza possibile il danno, verifichi alcuni aspetti concreti, quali ad esempio l’impegno profuso da parte dell’associazione nel cercare di contrastare il fatto dannoso posto in essere dall’agente, il numero dei tesserati dell’associazione, l’estensione capillare dell’associazione sul territorio e la sua popolarità, la portata della violazione dei fini statutari da parte dell’agente, il clamore mediatico rispetto ai fatti in esame.

Tuttavia tali considerazioni concrete non possono ritenersi da sole sufficienti ai fini della corretta liquidazione del danno, in quanto rischierebbero di non tradursi in una “giusta ed equa” quantificazione in termini monetari.

In tale ambito si ritiene che possa richiamarsi un interessante criterio della liquidazione del danno in via equitativa, cd. “calibrata”9Tale definizione si distinguedal c.d. criterio equitativo “puro”, sancito dall’art. 1226 c.c., il quale non prevedendo criteri uniformi che concorrano alla determinazione della base risarcitoria, si presta, tendenzialmente, a soluzioni risarcitorie che sono condizionate essenzialmente dalla sensibilità del Magistrato. Orbene, nell’ambito della materia trattata, proprio stante la oggettiva difficoltà di procedere ad una quantificazione in termini economici del danno non patrimoniale si ritiene che debba essere applicato un principio maggiormente aderente alle esigenze delle parti istanti.

Segnatamente, il criterio della liquidazione “calibrata” prevede un raffronto del caso in esame rispetto ad altri precedenti, con l’intento, di determinare il quantum risarcitorio rispetto a quanto già deciso in passato da altre Corti. Diventano pertanto decisivi i confronti da parte del Giudicante con i precedenti giurisprudenziali e le proporzioni fra le varie poste risarcite: in tale modo sarà possibile identificare una porzione “fissa” del quantum da liquidare – applicabile in via generale a tutti soggetti colpiti dal fatto dannoso – ed una parte “variabile” aderente alla situazione soggettiva specifica.

Il raffronto dei precedenti giurisprudenziali, consente pertanto al Giudice di perfezionare e limare i propri criteri di liquidazione, in base agli illeciti esaminati ed ai soggetti lesi10.

L’equità pertanto nel caso in esame deve essere qualificata come adeguata e proporzionata al fine di garantire l’intima coerenza dell’ordinamento, assicurando che casi uguali non siano trattati in modo “diseguale”, con eliminazione delle “disparità di trattamento” e delle “ingiustizie”; equità, come sopra già espresso, non vuol dire arbitrio, perchè quest’ultimo, non scaturendo da un processo logico-deduttivo, non potrebbe mai essere sorretto da adeguata motivazione. Alla nozione di equità è consustanziale l’idea di adeguatezza e di proporzione. Ma anche di parità di trattamento11.

Ci troviamo di fronte a principi “giusti”, in linea con l’orientamento consolidato della Suprema Corte di Cassazione secondo cui “l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c., deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perchè esaminati da differenti Uffici giudiziari”12.

  1. Conclusioni.

L’associazione ambientalista, così come altre forme associative che si assumono danneggiate da un fatto penalmente rilevante in materia ambientale, sono legittimate a procedere in danno del responsabile al fine di ottenere il ristoro dei danni diretti che hanno subito e che hanno leso, oltre che il patrimonio, anche l’immagine dell’associazione nonché hanno limitato e/o reso impossibile il raggiungimento dello scopo associativo. Tale attività si potrà realizzare non soltanto con l’esercizio dell’azione civile nel procedimento penale che tratta il reato ambientale (che tuttavia presuppone un allungamento dei tempi per l’effettiva liquidazione del danno), ma anche mediante l’attivazione di autonomo processo civile per responsabilità extracontrattuale nei confronti del responsabile. Ai fini della liquidazione del danno sarà opportuno fornire al Giudicante quanti più elementi possibili non solo al fine di dimostrare il nesso di causalità tra “causa ed effetto”, ma anche per provare la gravità del danno subito, e, in modo particolare, consentire al Giudicante di “calibrare” in modo equo l’entità della liquidazione del danno, raffrontando i precedenti giurisprudenziali in materia.

Per inciso, si ritiene che l’istanza risarcitoria determinata da reati ambientali, mediante l’attivazione di un processo civile, non possa rimanere circoscritta ad associazioni ambientaliste, bensì possa essere allargata a soggetti giuridici non definibili come “ambientalisti” di tipo collettivo, che si assumono comunque danneggiati dall’attività illecita ambientale (si pensi, a mero titolo esemplificativo, ad associazioni di subacquei che non possono più effettuare attività di immersione in un determinato ambiente acquoso che si è contaminato a causa dell’attività illecita di una determinata azienda, ovvero ad associazioni che promuovono lo sviluppo del territorio che sono impedite nello svolgimento della propria attività a causa dell’inquinamento atmosferico, enti turistici che vedono ridotta la platea dell’utenza a causa della compromissione ambientale della zona ove esercitano che ha ingenerato nei confronti del turista la pericolosità di frequentare la zona stessa).

E’ pertanto evidente come, nel corso degli anni, si sia sviluppata una maggiore sensibilità alla materia ambientale a più livelli; tanto ha determinato un incremento delle decisioni giurisprudenziali, le quali, su sollecitazione delle diverse parti che fanno parte del tale delicatissimo settore “ambiente”, ha finito per consentire azioni risarcitorie riconducendole nell’alveo della responsabilità aquiliana.

____________

1 Cass. Pen. SS.UU n. 38343/2014

2 Cass. Pen. Sez. III, n. 19439 del 17 gennaio 2012.

3 Cass. Pen., Sez. III, n. 24677 del 11 giugno 2015

4 Cass. Pen. Sez. III, n. 19437 del 23 maggio 2012, idem Cass. Pen. Sez. III, n. 4105 del 21 ottobre 2010

5 Cass., Pen. Sez. III, n. 36514 del 03 ottobre 2006

6 Cass., Pen. Sez. III, del 25 gennaio 2011.

7 Sentenza Cass. n. 29077/13 (ud. pubbl. 04/06/2013, dep. 09/07/2013)

8 Cass. Civ. Sez. III Sent. 10.11.2015 n. 228885

9 Tribunale Brindisi, sez. Ostuni, sentenza 14.12.2011

10 G. Cassano, Provare, risarcire e liquidare il danno esistenziale, Milano Il Sole 24 Ore, 2005.

11 Cass. Civile, 7/6/2011, n. 12408

12 Cassazione civile sez. III – 20 febbraio 2015 n. 3374

Giovedì, 10 Gennaio 2019 12:17

Berlino è

 

Die mauer e Giorgio che, dopo l'atterraggio a Berlino e l'applauso al pilota, mi chiede: papa' ma tutti applaudono perche' sono contenti di essere ancora vivi?

Die mauer e, contro ogni luogo comune, abbracci meravigliosi tra persone che, a Berlino, si ritrovano, si salutano per lasciarsi, o sono semplicemente felici in un singolo splendido momento.

Die mauer e tanti fotogrammi di vecchi giornali o trasmissioni televisive in bianco e nero sepolti nella mia memoria che tornano alla luce, portandosi dietro la sensazione di essere parte della storia di questo mondo feroce e primordiale.

Die mauer e una fuga di notte per un caffè (Lalla) e un rum (io) a lume di candela sul lungofiume dello Spree.

> Die mauer e una immersione nel mondo consumista per un cocktail di scampi al sesto piano del Kadewe (ku Dam e' ovviamente il luogo di Berlino dove ho incrociato più italiani).

Die mauer e una torretta di guardia sulle lapidi ebree a Bernauerstrasse, dove la forza d'urto del passato di questa citta' divisa si fa quasi opprimente.

Die mauer sul fiume trasformato nella East gallery Die mauer al check point charlie trasformato in un caotico monumento alla liberta', che, malgrado la paccottiglia ad uso e consumo di ogni turista del globo terracqueo, mi prende allo stomaco come un ragazzino, forse perche' quell'uomo seduto su uno sgabello che improvvisa un concerto di violoncello mi fa ancora venire la pelle d'oca.

Die mauer e tanta bicicletta.

Die mauer e il prato di fronte il Reichstag dove l'erba era alta e soffice e le nuvole sempre più nere e minacciose ed io sdraiato  guardavo la nuova cupola in vetro e mi tornava in mente quella foto che avro' visto su qualche libro di storia del soldato dell'armata rossa che pianta la bandiera sovietica sulla guglia più alta. Intorno solo macerie.

Die mauer e gigantesche schnitzel accompagnate da quantita' esiziali di kartoffel e weissbier, ma anche curry wurst e bratwurst, e immancabile, a fine cena, un apfelstrudel. Il fegato ringrazia.

Die mauer e un curry wurst su un assolato Unter den linden, e poi un gelato in un caffè letterario mentre fuori si scatena la tempesta ed io provo a farmi venire in mente qualcosa di adeguato al luogo, ma riesco solo a parlare di zuppe. E Brickenstock.

Die mauer e tante tante vespe, ma anche tanti ragni, a caccia di insetti sapientemente in equilibrio penzolante sulle nostre teste in uno splendido ristorante sul fiume.

Die mauer e un ex bunker, ex locale trasgressivo, ex private club, oggi galleria d'arte proprio di fronte alla finestra della mia camera. Visite gia' tutte prenotate per i prossimi mesi.

Die mauer e segni di colpi di arma da fuoco sui muri. E palazzi crollati dei quali restano solo i nomi delle famiglie scomparse sulle pareti dei palazzi confinanti.

Die mauer sulle fondamenta della sede della Gestapo e delle SS in Wilhelmstrasse, per una galleria fotografica che annichilisce e lascia senza speranza.

Die mauer e un parcheggio nell'area dove Adolf  Hitler e' morto. Forse.

Die mauer e  un discorso di Reagan che ho visto in diretta. E uno di Gorby che non ho mai dimenticato.

Die mauer e i bozzetti di Picasso per Guernica.

Die mauer e Giorgio che corre tra le lapidi nel museo ebraico e dell'Holocaust mahnmal e si lancia in bici a tutta velocita' verso il Grosse Stern nel Tiergarten, proprio dove si svolgeva la Love Parade.

Die mauer, e secondo me al monumento di Marx ed Engels hanno cambiato posto.

Die mauer e prenzlauer berg, mitte, fredrichshain, kreuzberg, con i quali dopo qualche giorno ci diamo del tu...

Die mauer e una guida che doveva portarci a Potsdam e, allo stesso prezzo, ci ha portati ad un laghetto abitato da nudisti e ad una collina formata dai detriti dei bombardamenti della seconda guerra mondiale da dove, dopo una crisi di stanchezza e zanzarofobia di tutti i piccoli del gruppo, abbiamo potuto vedere uno scampolo minuscolo di panorama di Berlino dall'alto (si fa per dire). Ma ci ha raccontato Berlino con trasporto, e questo lo apprezzo. Die mauer e una macchina fotografica della Lomo per Fede.

Die mauer e Robert Plant a Potsdam (dove ci voleva portare la guida e nel giorno in cui ci voleva portare lei) con lo stesso concerto che ho visto dieci giorni fa a Roma. E con Ramble on in scaletta.

Die mauer e il muro, sopra e accanto ogni cosa, a ricordarmi costantemente perche' oggi io sono quello che sono e il mondo e' quello che e'. E perche' malgrado tutto io e lui rimaniamo in equilibrio, coinvolti nel profondo dal destino dell'umanita'

 

Giovedì, 10 Gennaio 2019 11:56

New York memories

The people of new york!

So proud, so strong, so full of life

Energia che scorre

Lungo i binari di una subway mai cosi complicata

Mentre un negrone con treccine e canotta dei Bulls si addormenta poggiando delicatamente la spalla da quarter back sulla mia coscia in una calda e afosa notte al centro del mondo moderno.

Corpulente donne afro che cantano e sorridono in una messa ad Harlem. Col sorriso di chi si apre al mondo. Di chi ha trovato una speranza.

Sorridere e' cosi' facile e cosi' contagioso ho pensato.

Io e Giorgio in giro nei caldi pomeriggi di agosto tra fermate della metro rossa e avenue e street e hudson e east rever e downtown, moli, gallerie d'arte a soho, bar al limite dell'equivoco a greenwich.

Un concerto a governor island.

Una lacrima ad ellis island.

Una foto a liberty island.

Un flash a manhattan island.

L'adrenalina di un pre dinner nel village.

L'energia dei newyorkers al concerto erika badu, also known as...

E how do you want it cooked? In tutti gli slang dell'isola e del new england.

Ma che cazz'e' sto gotham?

Upper west side. Meglio dell'est.

Le stairs di Carrie Bradshow.

Broadway in un turbine supercalifragilespiralidoso.

Sbarro, burritos, hot dogs, sausages, cheesy pizza per giorgio.

Pasta papa'! Il giovane resta attaccato alle tradizioni.

Shopping: non per me

Trovo molto interessante la mia parte intollerante.

Diner su diner. Colazione french style. Il bacon di new york non e' neanche lontano parente di quello inglese.

Concerto degli Steely Dan al Beacon (sotto l'albergo). Concerto di Depeche Mode al Madison Square Garden. Concerti gratis al summer stage del central park.

Time out c'e' anche qui. E ci sarebbe da vedere concerti per un paio d'anni di fila.

Un fotografo in un ristorante italiano: le citta' più belle del mondo sono roma e new york, ma io resto fedele a new york where I was born and raised (in Brooklyn).

Caffè' espresso italian stile da aroma sulla 72ma. Sempre e comunque.

Strawberry fields era dietro l'angolo.

Con Dakota building e gli spettri di Rosemary's baby.

Amsterdam, Columbus, broadway, Madison, Park Avenue...

Missed a stop and got Harlem. Il confine e' proprio sulla. 99ma, come scriveva Augias.

Oltre c'e' un quartiere. Prima: la capitale indiscussa del mondo contemporaneo e capitalista.

You need help? Sembra il benvenuto di New York. Il posto dove ogni razza del mondo la trovi nell'area del cerchio di cui sei il centro in, circa, 20 mt di raggio.

Modelli e modelle bellissimi. Studenti. Punkabbestia. Homeless. Ubriaconi. Street performers. Clerks in pausa pranza sulle panchine del financial district. A colazione con il pc, o con l'i phone.

Non c'e' un cazzo di internet point. E poi la NY Library e vuole 15 o 45 minuti di connessione?

Battello per la NY bay e file sotto il sole. Ma da qui e' passato anche mio nonno Bonafede Elia detto Fedele? Era il 1920. Mio padre avrebbe potuto nascere in uno di quei sobborghi di emigranti dove sembra ancora esserci l'Italia di 50 anni fa.

Se non fosse stato per Mussolini, che mio nonno non lo fece tornare a Brooklyn e lo fece andare a combattere nella seconda guerra mondiale, come se la prima non fosse già abbastanza.

Nonno Fedele e' poi finito prigioniero ad Auschwitz, giusto per non farsi mancare niente. Tutto l'orrore del 20mo secolo.

Erba verde su cui riposare.

Aria condizionata da cui scappare.

Meglio l'afa di fuori? Meglio un golfino.

Upper east side pieno di vecchie bianche ricche e ormai ridotte al girello o all'ossigeno. Un esercito di giovani forti e affamati alle porte.

Convivono.

Con tassisti scappati dall'Etiopia passando per l'Egitto, studenti della Columbia, street dancers, carovane di turisti in bermuda e sneakers, ortodossi di tutte le religioni, scalatori di borsa, amanti del musical, gente di tendenza, butta dentro del diamond district, africani del nord ai chioschi di hot dog, giovani donne al desk dei locali più in...

Convivono. E si sentono americani.

Sulla questione risarcitoria dei cittadini e della città di Taranto per i danni da inquinamento ILVA ho ritenuto opportuno rilasciare un'intervista alla Gazzetta del Mezzogiorno in modo da favorire l'apertura di un dibattito che sia di sprone ad affrontare la spinosa, ma ineludibile questione.

E' arrivato il momento di alzare la testa, perchè se non chiederemo noi con forza che il nostro diritto ad un risarcimento sia rispettato, non ci sarà nessuno che lo farà per conto nostro, e anzi continueremo ad assistere, sbigottiti, ad un atteggiamento della procedura di Amministrazione Straordinaria, incredibilmente in linea con quello della famiglia Riva.

 

 

 

Nell’ambito dell’esame del dl 243/2016: "Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno", la Commissione Bilancio della Camera dei Deputati ha effettuato le audizioni del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, Francesco Greco, del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, Carlo Maria Capristo e del Presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Si allega il video della seduta tratto dall'archivio di radio radicale.

Le relazioni dei due Procuratori della Repubblica e del Presidente Emiliano (tre magistrati) hanno fornito utili elementi informativi sulle transazioni sottoscritte con gli Amministratori Straordinari di Ilva S.p.A. e le altre società del Gruppo Riva e con la famiglia Riva, in esito alle quali si spera di riuscire a fare rientrare le somme sequestrate in Svizzera e "congelate" in Jersey dalla Procura di Milano nell'ambito dei procedimenti penali attivati presso il Tribunale di Milano, e quindi di utilizzare tali somme per le opere di adeguamento dello stabilimento di Taranto alle prescrizioni che saranno imposte in esito alla procedura di vendita in corso, con o senza la "decarbonizzazione" proposta dal Presidente Emiliano.

Non pochi spunti di riflessione vengono dalle parole pronunziate durante l'audizione, tra le quali emergono (e fanno saltare sulla sedia) concetti come:

"Ma se non si elimina la causa dell’inquinamento si buttano i soldi";

"L’Amministrazione Straordinaria di Ilva S.p.A. oggi tranquillizza sul fronte inquinamento. Quindi gli interventi fatti sinora hanno già avuto effetti positivi, bisogna vedere i prossimi interventi a cosa portano";

"Il risarcimento dei cittadini di Taranto consiste nel mantenere i posti di lavoro e migliorare l’ambiente"

"una produzione, sebbene strategica, non può esssere letale per la salute pubblica".

Personalmente, pur apprezzando lo sforzo delle Procure e del Governo per provare a raggiungere questi ultimi obiettivi, e sapendo che la riduzione dell'inquinamento attuale dello stabilimento consegue unicamente alla ridotta produzione, non ritengo che essi rappresentino davvero il risarcimento che la città di Taranto ed i cittadini dei Tamburi stanno attendendo, e che invece la politica debba trovare una soluzione definitiva alla questione.

Con la visione che emerge dalle dichiarazioni sopra riportate, infatti, si antepongono gli interessi dello Stato Italiano alla produzione di acciaio, nonchè l'interesse economico alla conservazione dei posti di lavoro, a quello della città di Taranto, ed in particolare dei cittadini residenti nel quartiere dei Tamburi, quello più soggetto allo spolverio delle polveri provenienti dai parchi minerali ed alle sostanze inquinanti emesse nell'ambito delle lavorazioni che si svolgono nell'area industriale Ilva, ad ottenere finalmente un risarcimento per i patimenti ed i danni subiti.

Verrebbe da dire, parafrasando il nuovo Presidente USA, che invece sarebbe auspicabile che venga Taranto first! (per prima!)

Perchè, come prima azione tesa a ristabilire un minimo di equilibrio e giustizia sostanziale, vanno risarciti la città di Taranto e i suoi cittadini (e non in "moneta fallimentare", visto che sia la procedura concorsuale di Ilva spa che l'utilizzo delle somme di Emilio Riva vengono disposte dal Governo e dal Parlamento Italiani), perchè hanno subito un inotollerabile inquinamento per decadi.

Solo dopo si potrà parlare delle opere di "ambientalizzazione dello stabilimento" (che non è un "risarcimento alla città") e di come si dovrà continuare a produrre acciaio inquinando meno ed azzerando i fastidi per i cittadini di Taranto (siamo all'ovvio, altro che risarcimento!).

Cittadini di Taranto che dovrebbero venire prima dell'interesse nazionale alla produzione dell'acciaio, della tutela dei posti di lavoro (che devono essere anche privi di rischi di malattie connesse all'esposizione ad egenti inquinanti e/o tossici), e che dovrebbero certamente venire prima della famiglia Riva, che all'esito della transazione potrà portarsi a casa ingenti somme tra quelle congelate in Jersey, e magari potrà serenamente, e senza procure alle calcagna, raccogliere anche qualcos'altro magari depositato in altri paradisi fiscali ancora sconosciuti.

Le soluzioni ci sono, e sono a portata di mano, basta volerle adottare, e basta remare tutti nella stessa direzione, mettendo al primo posto tra le priorità di questa vicenda proprio la necessità di rendere giustizia concretamente alla città martoriata, ed in particolare a quella parte della città che per 50 anni ha, quantomeno, dovuto vivere barricata in casa a causa delle polveri provenienti dallo stabilimento Ilva.

 

 

 

Qui di seguito riporto il testo del quesito, con indicate in diversi colori le proposte di abrogazione, e quindi il testo delle norme che si intendono abrogare con indicazione delle parti da abrogare (colorate) e di quelle residue (senza colori).

Direi che il problema risiede nella proposta di abrogazione di parte del comma 8 dell'art. 18 L. 300/70, poichè la norma che residuerebbe all'esito dell'abrogazione parrebbe estendere la tutela reale anche ad ipotesi che, prima dell'eventuale abrogazione, risultano escluse.

Ma vedremo le motivazioni della Consulta.

 

 

Volete voi l'abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza e dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, recante “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” comma 1, limitatamente alle parole “previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile”; comma 4, limitatamente alle parole: “per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili,” e alle parole “, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di
fatto
” ; comma 5 nella sua interezza ; comma 6, limitatamente alla parola “quinto” e alle parole “, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione
globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi
” e alle parole “, quinto o settimo”; comma 7, limitatamente alle parole “che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento” e alle parole “; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7  della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari,
trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo
”; comma 8, limitatamente alle parole “in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento”, alle parole “quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di” e alle parole “, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti”.

 

Art. 18. Reintegrazione nel posto di lavoro. (1)

Primo comma: Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio ai sensi dell'articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell'articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all'articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale. (2)

2° comma: Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. (2)

3° comma: Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione. (2)

4° comma: Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma. (2)

5° comma: Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all'anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell'attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo. (2)

6° comma: Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all'articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un'indennità risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi è anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo. (3)

7° comma: Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell'ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell'articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Può altresì applicare la predetta disciplina nell'ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell'indennità tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo. (4)

8° comma: Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze più di quindici lavoratori o più di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonché al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell'ambito dello stesso comune occupa più di quindici dipendenti e all'impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa più di cinque dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa più di sessanta dipendenti. (29) (4)

9° comma: Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all'ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all'ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie. (4)

Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo. (4)

Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L'ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l'ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell'articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.

L'ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Nell'ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all'ordinanza di cui all'undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l'ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all'importo della retribuzione dovuta al lavoratore. (5)

(1) Rubrica così sostituita dall'art. 1, comma 42, lett. a),L. 28 giugno 2012, n. 92.
(2) Comma così sostituito dall’ art. 1, comma 42, lett. b),L. 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originari commi dal primo al sesto con gli attuali commi dal primo al decimo. In precedenza il presente comma era stato sostituito dall’ art. 1, L. 11 maggio 1990, n. 108.
(3) Comma così sostituito dall'art. 1, comma 42, lett. b),L. 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito i commi dal primo al sesto con gli attuali commi dal primo al decimo.
(4) Comma aggiunto dall’ art. 1, comma 42, lett. b),L. 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originari commi dal primo al sesto con gli attuali commi dal primo al decimo.
(5) Comma così modificato dall'art. 1, comma 42, lett. c),L. 28 giugno 2012, n. 92.

Vedi Maria Spataro,Licenziamento disciplinare: un'applicazione dell'art. 18 dopo la riforma Fornero, Tribunale Ravenna, sez. Lavoro, sentenza 18 marzo 2013.

 

D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (1). Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183. (1) Pubblicato nella Gazz. Uff. 6 marzo 2015, n. 54. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76, 87, quinto comma, e 117, secondo comma, della Costituzione; Visto l'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183, recante delega al Governo allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l'attività ispettiva; Visto l'articolo 1, comma 7, lettera c), della medesima legge n. 183 del 2014, recante il criterio di delega volto a prevedere, per le nuove assunzioni, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 24 dicembre 2014; Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 20 febbraio 2015; Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali; EMANA il seguente decreto legislativo:

Art. 1. Campo di applicazione 1. Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto. 2. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. 3. Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto.

Art. 2. Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale 1. Il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità di cui al comma 3. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale. 2. Con la pronuncia di cui al comma 1, il giudice condanna altresì il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l'inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. 3. Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al comma 2, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione. 4. La disciplina di cui al presente articolo trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68.

Art. 3. Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa 1. Salvo quanto disposto dal comma 2, nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. 2. Esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva. Al lavoratore è attribuita la facoltà di cui all'articolo 2, comma 3. 3. Al licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1 non trova applicazione l'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.

Art. 4. Vizi formali e procedurali 1. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle tutele di cui agli articoli 2 e 3 del presente decreto.

Art. 5. Revoca del licenziamento 1. Nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto.

Art. 6. Offerta di conciliazione 1. In caso di licenziamento dei lavoratori di cui all'articolo 1, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario. 2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1 valutate in 2 milioni di euro per l'anno 2015, 7,9 milioni di euro per l'anno 2016, 13,8 milioni di euro per l'anno 2017, 17,5 milioni di euro per l'anno 2018, 21,2 milioni di euro per l'anno 2019, 24,4 milioni di euro per l'anno 2020, 27,6 milioni di euro per l'anno 2021, 30,8 milioni di euro per l'anno 2022, 34,0 milioni di euro per l'anno 2023 e 37,2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024 si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. 3. Il sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 28 giugno 2012, n. 92, assicura il monitoraggio sull'attuazione della presente disposizione. A tal fine la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto di cui all'articolo 4-bis del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni, è integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l'avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione di cui al comma 1 e la cui omissione è assoggettata alla medesima sanzione prevista per l'omissione della comunicazione di cui al predetto articolo 4-bis. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria è conseguentemente riformulato. Alle attività di cui al presente comma si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Art. 7. Computo dell'anzianità negli appalti 1. Ai fini del calcolo delle indennità e dell'importo di cui all'articolo 3, comma 1, all'articolo 4, e all'articolo 6, l'anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa subentrante nell'appalto si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata.

Art. 8. Computo e misura delle indennità per frazioni di anno 1. Per le frazioni di anno d'anzianità di servizio, le indennità e l'importo di cui all'articolo 3, comma 1, all'articolo 4, e all'articolo 6, sono riproporzionati e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

Art. 9. Piccole imprese e organizzazioni di tendenza 1. Ove il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge n. 300 del 1970, non si applica l'articolo 3, comma 2, e l'ammontare delle indennità e dell'importo previsti dall'articolo 3, comma 1, dall'articolo 4, comma 1 e dall'articolo 6, comma 1, è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità. 2. Ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto.

Art. 10. Licenziamento collettivo 1. In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all'articolo 2 del presente decreto. In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica il regime di cui all'articolo 3, comma 1.

Art. 11. Rito applicabile 1. Ai licenziamenti di cui al presente decreto non si applicano le disposizioni dei commi da 48 a 68 dell'articolo 1 della legge 28 giugno 2012, n. 92.

Art. 12. Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

 

Ecco il DL che riguarda Taranto pubblicato il 29dic.2016

DECRETO-LEGGE 29 dicembre 2016, n. 243
Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno. (16G00259) 
Vigente al: 2-1-2017

Capo I

Disposizioni in materia ambientale

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77, 81 e 87 della Costituzione;

Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure che contemperino le esigenze di tutela occupazionale, con quelle di salvaguardia ambientale e di prevenzione e monitoraggio della vivibilita', in particolare di soggetti deboli, in aree del Mezzogiorno del Paese;

Valutato in particolare rispondente a tale finalita' l'adozione di un Piano conforme alle raccomandazioni adottate dagli organismi internazionali in tema di responsabilita' sociale dell'impresa e alle migliori pratiche attuative per le zone di Taranto e limitrofe;

Considerata la necessita' di introdurre ulteriori modifiche all'articolo 1 del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito con modificazioni dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13, recante disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del gruppo ILVA al fine di garantire in via di urgenza interventi di sostegno alle famiglie disagiate del territorio tarantino, nonche' l'ammodernamento tecnologico dei presidi sanitari ubicati nell'area di Taranto e Statte;

Ritenuta la necessita' e urgenza di prevedere misure volte a pervenire procedure di infrazione comunitaria, nel contempo velocizzando i procedimenti funzionali all'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione acque reflue;

Ritenuto altresi' che si rendano necessarie misure di transizione per sostenere l'occupazione, accompagnando i processi di riconversione industriale delle infrastrutture portuali ed evitando soluzioni di continuita' che possano arrecare grave pregiudizio all'operativita' e all'efficienza portuali;

Ritenuta la necessita' di agevolare le procedure funzionali alla buona riuscita degli eventi correlati alla presidenza italiana del G 7, previsti in particolare in comuni del Mezzogiorno;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 23 dicembre 2016;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, di concerto con i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e dei trasporti, dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze;

Emana il seguente decreto-legge:

Art. 1

Modifiche all'articolo 1 del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito con modificazioni dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13, recante disposizioni urgenti per il completamento della procedura di cessione dei complessi aziendali del Gruppo ILVA

1. All'articolo 1 del decreto-legge 4 dicembre 2015, n. 191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 3, quarto periodo, le parole: «entro 60 giorni dal decreto di cessazione dell'esercizio dell'impresa di cui all'articolo 73 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270» sono sostituite dalle seguenti: «entro 60 giorni dalla data in cui ha efficacia la cessione a titolo definitivo dei complessi aziendali oggetto della procedura di trasferimento di cui al comma 2»;

b) dopo il comma 8.3 sono aggiunti i seguenti: «8.4. Il contratto che regola il trasferimento dei complessi aziendali in capo all'aggiudicatario individuato a norma del comma 8.1 definisce altresi' le modalita' attraverso cui, successivamente al suddetto trasferimento, i commissari della procedura di amministrazione straordinaria svolgono o proseguono le attivita', esecutive e di vigilanza, funzionali all'attuazione del Piano approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 maggio 2014, n. 105, come eventualmente modificato ai sensi del comma 8.1. Il termine di durata del programma dell'amministrazione straordinaria si intende esteso sino alla scadenza del termine ultimo per l'attuazione del predetto Piano, come eventualmente modificato o prorogato ai sensi del comma 8.1 o di altra norma di legge. Entro tale termine, i commissari straordinari sono autorizzati ad individuare e realizzare ulteriori interventi di decontaminazione e risanamento ambientale non previsti nell'ambito del predetto Piano, ma allo stesso strettamente connessi, anche mediante formazione e impiego del personale delle societa' in amministrazione straordinaria non altrimenti impegnato. Il decreto di cessazione dell'esercizio dell'impresa di cui all'articolo 73 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, e' adottato a seguito dell'intervenuta integrale cessazione, da parte dell'amministrazione straordinaria, di tutte le attivita' e funzioni, anche di vigilanza, comunque connesse all'attuazione del Piano approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 marzo 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 maggio 2014, n. 105, come eventualmente modificato ai sensi del comma 8.1, ovvero degli ulteriori interventi posti in essere ai sensi del presente comma.

8.5. Il programma della procedura di amministrazione straordinaria e' altresi' integrato con un piano relativo ad iniziative volte a garantire attivita' di sostegno assistenziale e sociale per le famiglie disagiate nei Comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola. Il piano, a carattere sperimentale, della durata di tre anni, approvato dal Ministro dello sviluppo economico e monitorato nei relativi stati di avanzamento, si conforma alle raccomandazioni adottate dagli organismi internazionali in tema di responsabilita' sociale dell'impresa e alle migliori pratiche attuative ed e' predisposto ed attuato, con l'ausilio di organizzazioni riconosciute anche a livello internazionale, enti del terzo settore ed esperti della materia, a cura dei commissari straordinari, d'intesa con i Comuni di cui al primo periodo per quanto attiene la selezione dei soggetti beneficiari. Per consentire l'immediato avvio delle attivita' propedeutiche alla realizzazione del piano, l'importo di 300.000 euro e' posto a carico delle risorse del programma nazionale complementare "Imprese e competitivita' 2014-2020", approvato dal CIPE con delibera 10 del 1° maggio 2016.».

2. Le risorse rivenienti dalla restituzione dei finanziamenti statali di cui all'articolo 1, comma 6-bis, del decreto-legge 4 dicembre 2015, n.191, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13 anche con le modalita' di cui al comma 6-undecies del medesimo articolo 1:

a) nel limite di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2017 - 2019, sono mantenute sulla contabilita' speciale di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, per essere destinate al finanziamento delle attivita' relative alla predisposizione e attuazione del Piano di cui all'articolo 1, comma 8.5, del decreto-legge n. 191 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° febbraio 2016, n. 13, secondo le modalita' attuative di cui all'articolo 3, comma 2, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20. I commissari straordinari, anche ai fini dei trasferimenti delle risorse occorrenti, provvedono a rendicontare al Ministero vigilante con cadenza semestrale;

b) nel limite di 50 milioni di euro per il 2017 e di 20 milioni di euro per il 2018, sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate in spesa nello stato previsione del Ministero della salute e successivamente trasferite alla Regione Puglia per la realizzazione di un progetto volto all'acquisizione dei beni e dei servizi necessari alla realizzazione di interventi di ammodernamento tecnologico delle apparecchiature e dei dispositivi medico-diagnostici delle strutture sanitarie pubbliche ubicate nei Comuni di Taranto, Statte, Crispiano, Massafra e Montemesola, avvalendosi, in via esclusiva, della CONSIP S.p.A., nonche' alla conseguente e necessaria formazione e aggiornamento professionale del personale sanitario.

3. Il progetto di cui al comma 2, lettera b), inserito tra gli interventi del Contratto istituzionale di sviluppo, sottoscritto il 30 dicembre 2015, e' trasmesso dalla Regione Puglia ed e' approvato dal Ministero della salute, sentito l'Istituto superiore di sanita', previo parere del Tavolo istituzionale permanente integrato a tal fine con un rappresentante del Ministero della salute.

4. Alla compensazione dei conseguenti effetti finanziari sui saldi di finanza pubblica recati dal comma 2 si provvede mediante utilizzo del Fondo di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189, nel limite massimo di 60 milioni di euro per l'anno 2017, 30 milioni di euro per l'anno 2018 e 10 milioni di euro per l'anno 2019.

5. Il Ministro dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio connesse all'attuazione del presente decreto.

Art. 2

Procedure di infrazione europee n. 2004/2034 e n. 2009/2034 per la realizzazione e l'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione

1. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti i Presidenti delle regioni interessate, e' nominato un unico Commissario straordinario del Governo, di seguito Commissario unico, scelto tra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, di comprovata esperienza gestionale e amministrativa. Il Commissario resta in carica per un triennio e, nel caso in cui si tratti di dipendente pubblico, collocato in posizione di comando, aspettativa o fuori ruolo secondo l'ordinamento applicabile. All'atto del collocamento in fuori ruolo e' reso indisponibile per tutta la durata del collocamento in fuori ruolo un numero di posti nella dotazione organica dell'amministrazione di provenienza equivalente dal punto di vista finanziario.

2. Al Commissario unico sono attribuiti compiti di coordinamento e realizzazione degli interventi funzionali a garantire l'adeguamento nel minor tempo possibile alle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell'Unione europea pronunciate il 19 luglio 2012 (causa C-565/10) e il 10 aprile 2014 (causa C-85/13) evitando l'aggravamento delle procedure di infrazione in essere, mediante gli interventi sui sistemi di collettamento, fognatura e depurazione delle acque reflue necessari in relazione agli agglomerati oggetto delle predette condanne non ancora dichiarati conformi alla data di entrata in vigore del presente decreto, ivi inclusa la gestione degli impianti per un periodo non inferiore a due anni dal collaudo definitivo delle opere, nonche' il trasferimento degli stessi agli enti di governo dell'ambito ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.

3. Al predetto Commissario e' corrisposto esclusivamente un compenso determinato nella misura e con le modalita' di cui al comma 3 dell'articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, a valere sulle risorse assegnate per la realizzazione degli interventi, composto da una parte fissa e da una parte variabile in ragione dei risultati conseguiti.

4. A far data dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, i Commissari straordinari nominati ai sensi dell'articolo 7, comma 7, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, cessano dal proprio incarico. Contestualmente, le risorse presenti nelle contabilita' speciali ad essi intestate, nonche' le risorse della delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) n. 60/2012 destinate agli interventi di cui al comma 1 con le modalita' di cui ai commi 7-bis e 7-ter dell'articolo 7, del predetto decreto-legge n. 133 del 2014, sono trasferite ad apposita contabilita' speciale intestata al Commissario unico, presso la Sezione di Tesoreria Provinciale dello Stato di Roma, ai sensi degli articoli 8 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367. Su tale contabilita' speciale sono altresi' trasferite tutte le risorse finanziarie pubbliche, nazionali e regionali, nonche' quelle da destinare agli interventi di cui al comma 2 per effetto di quanto deliberato dal CIPE nella seduta del 10 agosto 2016.

5. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto e comunque entro la data di cessazione dall'incarico, i Commissari trasmettono alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato e al Commissario unico una relazione circa lo stato di attuazione degli interventi di competenza e degli impegni finanziari assunti nell'espletamento dell'incarico, a valere sulle contabilita' speciali loro intestate, e trasferiscono al Commissario unico tutta la documentazione progettuale e tecnica in loro possesso.

6. Entro trenta giorni dalla data di adozione del decreto di cui al comma 1, le regioni destinatarie delle risorse di cui alla delibera del CIPE n. 60/2012 gia' trasferite ai bilanci regionali, per le quali non risulti intervenuta l'aggiudicazione provvisoria dei lavori, provvedono a trasferirle sulla contabilita' speciale intestata al Commissario unico. Decorso inutilmente il predetto termine, fermo restando l'accertamento dell'eventuale responsabilita' derivante dall'inadempimento, il Commissario unico di cui al comma 1, in qualita' di Commissario ad acta, adotta i relativi necessari provvedimenti.

7. Per gli interventi di cui al comma 2 per la cui realizzazione sia prevista la concorrenza della tariffa o di risorse regionali, i gestori del servizio idrico integrato, sentita la competente Autorita', ovvero la Regione, trasferiscono gli importi dovuti alla contabilita' speciale del Commissario, assumendo i conseguenti provvedimenti necessari.

8. Entro trenta giorni dalla data di adozione del decreto di cui al comma 1, il Commissario unico predispone, ai sensi dell'articolo 134 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, mediante l'utilizzo delle risorse umane, strumentali e finanziarie previste ai sensi del presente articolo, un sistema di qualificazione dei prestatori di servizi di ingegneria per la predisposizione di un albo di soggetti ai quali affidare incarichi di progettazione, di importo inferiore a un milione di euro, degli interventi di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati urbani oggetto delle procedure di infrazione n. 2004/2034 e n. 2009/2034. Tale albo e' sottoposto all'Autorita' Nazionale Anticorruzione ai fini della verifica della correttezza e trasparenza delle procedure di gara.

9. Il Commissario unico si avvale, sulla base di apposite convenzioni, di societa' in house delle amministrazioni centrali dello Stato, dotate di specifica competenza tecnica i cui oneri sono posti a carico dei quadri economici degli interventi da realizzare, degli enti del sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente di cui alla legge 28 giugno 2016, n. 132, delle Amministrazioni centrali e periferiche dello Stato e degli Enti pubblici che operano nell'ambito delle aree di intervento, utilizzando le risorse umane e strumentali disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

10. Il Commissario unico si avvale altresi', per il triennio 2017-2019, di una Segreteria tecnica composta da non piu' di 6 membri, nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, scelti tra soggetti dotati di comprovata pluriennale esperienza tecnico-scientifica nel settore dell'ingegneria idraulica e del ciclo delle acque. Con il medesimo decreto e' determinata l'indennita' onnicomprensiva spettante a ciascun componente della Segreteria, nei limiti di una spesa complessiva annuale per il complesso dei membri della Segreteria tecnica non superiore a 300.000,00 euro. Agli oneri derivanti dal presente comma, pari a euro 300.000 per ciascuno degli anni 2017-2019 si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di cui all'articolo 1, comma 226, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. A tal fine il Ministero dell'economia e delle finanze e' autorizzato ad apportare le occorrenti variazioni di bilancio.

11. Al Commissario unico si applicano le previsioni di cui ai commi 2-ter, 4, 5 e 6 dell'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, e di cui ai commi 5, 7-bis e 7-ter dell'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164.

Art. 3

Bonifica ambientale e rigenerazione urbana delle aree di rilevante interesse nazionale - comprensorio Bagnoli - Coroglio

1. All'articolo 33, comma 13, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, le parole: «dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri all'uopo delegato» sono sostituite dalle seguenti: «dal Presidente del Consiglio dei ministri o da un Ministro da lui designato».

Capo II

Disposizioni in materia di lavoro, politiche sociali e istruzione

Art. 4

Agenzia per la somministrazione del lavoro in porto e per la riqualificazione professionale (transhipment)

1. Al fine di sostenere l'occupazione, di accompagnare i processi di riconversione industriale delle infrastrutture portuali e di evitare grave pregiudizio all'operativita' e all'efficienza portuali, nei porti nei quali almeno l'80 per cento della movimentazione di merci containerizzate avviene o sia avvenuta negli ultimi cinque anni in modalita' transhipment e persistano da almeno cinque anni stati di crisi aziendale o cessazioni delle attivita' terminalistiche, in via eccezionale e temporanea, per un periodo massimo non superiore a trentasei mesi, a decorrere dal 1° gennaio e' istituita dalla Autorita' di Sistema portuale, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con delibera del Comitato di gestione o del Comitato portuale laddove eserciti in prorogatio le sue funzioni, una Agenzia per la somministrazione del lavoro in porto e per la riqualificazione professionale, nella quale confluiscono i lavoratori in esubero delle imprese che operano ai sensi dell'articolo 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, autorizzate alla movimentazione dei container che, alla data del 27 luglio 2016, usufruivano di regimi di sostegno al reddito nelle forme degli ammortizzatori sociali.

2. L'Agenzia e' promossa e partecipata, nel periodo di cui al comma 1, dall'Autorita' di Sistema portuale competente, in deroga all'articolo 6, comma 11, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, e secondo le norme recate nel testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. Le attivita' delle Agenzie sono svolte avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente nei bilanci delle rispettive Autorita' di Sistema portuale.

3. L'Agenzia svolge attivita' di supporto alla collocazione professionale dei lavoratori iscritti nei propri elenchi anche attraverso la loro formazione professionale in relazione alle iniziative economiche ed agli sviluppi industriali dell'area di competenza della Autorita' di Sistema portuale. Le Regioni possono cofinanziare i piani di formazione o di riqualificazione del personale che dovessero rendersi necessari, avvalendosi delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

4. La somministrazione di lavoro puo' essere richiesta da qualsiasi impresa abilitata a svolgere attivita' nell'ambito portuale di competenza della Autorita' di Sistema portuale, al fine di integrare il proprio organico. Nei porti in cui sia gia' presente un soggetto autorizzato ai sensi dell'articolo 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84, quest'ultimo, qualora non abbia personale sufficiente per far fronte alla fornitura di lavoro portuale temporaneo, dovra' rivolgersi alla predetta Agenzia.

5. In caso di nuove iniziative imprenditoriali e produttive che dovessero localizzarsi in porto, le imprese autorizzate o concessionarie devono fare ricorso per le assunzioni a tempo determinato ed indeterminato, laddove vi sia coerenza tra profili professionali richiesti e offerti, ai lavoratori dell'Agenzia secondo percentuali predeterminate nel relativo titolo abilitativo; stesso obbligo grava, in caso di previsioni di nuove assunzioni, sulle aziende gia' concessionarie ai sensi dell'articolo 18 della legge 28 gennaio 1994, n. 84. I lavoratori individuati devono accettare l'impiego proposto, pena la cancellazione dagli elenchi detenuti dalla Agenzia.

6. All'Agenzia di somministrazione, ad eccezione delle modalita' istitutive e di finanziamento, si applicano le norme che disciplinano le agenzie di somministrazione di cui ai decreti legislativi del 10 settembre 2003 n. 276 e del decreto legislativo 15 giugno 2015 n. 81, ove compatibili.

7. Al personale di cui al comma 1, per le giornate di mancato avviamento al lavoro, si applicano le disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 3 della legge 28 giugno 2012, n. 92 nel limite delle risorse aggiuntive pari a 18.144.000 di euro per il 2017, 14.112.000 di euro per il 2018 e 8.064.000 di euro per il 2019.

8. Alla scadenza dei trentasei mesi, ove restassero in forza all'Agenzia di cui al comma 1, lavoratori non reimpiegati, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti puo' autorizzare la trasformazione di tale Agenzia, su istanza dell'Autorita' di Sistema portuale competente e laddove sussistano i presupporsi, in un'Agenzia ai sensi dell'articolo 17 della legge 28 gennaio 1994, n. 84.

9. Agli oneri derivanti dal comma 7, pari a 18.144.000 euro per l'anno 2017, 14.112.000 euro per l'anno 2018 e 8.064.000 euro per l'anno 2019, si provvede:

a) quanto a 18.144.000 euro per l'anno 2017, mediante versamento all'entrata del bilancio dello Stato da effettuare nell'anno 2017, di quota di corrispondente importo delle disponibilita' in conto residui del Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2;

b) quanto a 14.112.000 euro per l'anno 2018 e 8.064.000 euro per l'anno 2019 mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa relativa al Fondo sociale per l'occupazione e la formazione, di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

10. Alla compensazione degli effetti finanziari in termini di fabbisogno e di indebitamento netto derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui al comma 9 pari a 18.144.000 euro per l'anno 2017 si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente conseguenti all'attualizzazione di contributi pluriennali di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189.

Art. 5

Incremento del fondo per le non autosufficienze

1. Lo stanziamento del Fondo per le non autosufficienze, di cui all'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e' incrementato di 50 milioni di euro per l'anno 2017.

2. All'onere di cui al comma 1, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n.190.

Art. 6

Scuola europea di brindisi

1. Al fine di garantire l'adozione del curricolo previsto per le scuole europee dalla scuola dell'infanzia al conseguimento del baccalaureato europeo, in prosecuzione delle sperimentazioni gia' autorizzate per la presenza della Base delle Nazioni Unite di Brindisi, il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca e' autorizzato a stipulare e a dare esecuzione alle occorrenti convenzioni con il Segretariato generale delle scuole europee. A tale scopo, e' autorizzata la spesa di euro 577.522,36 a decorrere dall'anno 2017. Agli oneri derivanti dal presente comma, a decorrere dall'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2017, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

Capo III

Interventi per presidenza del G7

Art. 7

Interventi funzionali alla presidenza italiana del G7 nel 2017

1. Gli interventi funzionali alla presidenza italiana del G7 nel 2017, in quanto imprevedibili in relazione a consistenza e durata dei procedimenti, costituiscono presupposto per l'applicazione motivata della procedura di cui all'articolo 63, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50; conseguentemente, per gli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi da aggiudicare da parte del Capo della struttura di missione «Delegazione per la Presidenza Italiana del Gruppo dei Paesi piu' industrializzati» per il 2017, istituita con decreto del Presidente del Consiglio del 24 giugno 2016, confermata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 dicembre 2016, e del Commissario straordinario del Governo per la realizzazione degli interventi infrastrutturali e di sicurezza connessi alla medesima Presidenza italiana, nominato ai sensi dell'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei limiti temporali e nell'ambito degli stanziamenti assegnati, si applicano, in caso di necessita' ed urgenza, le disposizioni di cui ai commi 1 e 6 dell'art. 63 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Capo IV

Disposizioni finali

Art. 8

Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sara' presentato alle Camere per la conversione in legge.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Dato a Roma, addi' 29 dicembre 2016

MATTARELLA

Gentiloni Silveri, Presidente del Consiglio dei ministri

De Vincenti, Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno

Galletti, Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare

Calenda, Ministro dello sviluppo economico

Poletti, Ministro del lavoro e delle politiche sociali

Delrio, Ministro delle infrastrutture e dei trasporti

Fedeli, Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca

Alfano, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale

Padoan, Ministro dell'economia e delle finanze

Visto, il Guardasigilli: Orlando

 

In una intervista rilasciata oggi al quotidiano La Repubblica il Ministro Orlando dichiara: "... in questa stagione nessuno ha mai cercato di depotenziare il lavoro dei magistrati: Quello che si chiede è che almeno sino alla pronuncia di un giudice terzo, pm e giudici vigilino sui rischi di cortocircuiti mediatici o sulle strumentalizzazioni politiche prima di tutto nell'interesse dell'esito processuale. Parole in questo senso sono venute pochi giorni fa da un autorevole consigliere del Csm, Luca Palamara, già presidente dell'Anm, segno che le cose sono davvero molto cambiate rispetto al passato".

Io dico, ottimo l'intento, molto vacuo e del tutto insufficiente il metodo che si intende utilizzare per raggiungerlo.

Mi spiego: si chiede alla magistratura di "vigilare", sino a quando un giudice terzo avrà giudicato (quindi diciamo sino al rinvio a giudizio da parte del GIP/GUP) affinchè non ci siano "strumentalizzazioni politiche" o "cortocircuiti mediatici", ovviamente nell'interesse dell'esito processuale.

Il Ministro sa bene che la fuga di notizie non dipende dalla "vigilanza" dei magistrati, che al massimo potranno astenersi dal fare conferenze stampa, ma dalle maglie larghissime del sistema procure/polizia giudiziaria/cancellerie.

Il Ministro sa bene, inoltre, che spesso addirittura atti ancora coperti dal segreto istruttorio, come quelli delle indagini, vengono pubblicati su testate giornalistiche e propalati on line prima ancora che di essi siano venuti a conoscenza gli indagati.

Quante volte sentiamo la dichiarazione dell'indagato di turno che: "apprende dalla stampa" di essere indagato?

In uno stato di diritto che funziona questo non può e non deve accadere.

Si potrebbe agire sulle regole deontologiche della categoria giornalistica, inasprendo le sanzioni in caso di pubblicazione di atti coperti dal segreto istruttorio, o comunque ancora non conosciuti dall'indagato, e già sarebbe una risposta più efficace.

Si potrebbe aprire un percorso agevolato per il risarcimento di chi fosse sbattuto come indagato sui giornali senza aver ricevuto neppure un avviso di conclusione indagini.

Si potrebbe provare a inserire negli accordi intervenuti con i proprietari dei maggiori siti di social media sulla "post-truth" (post-verità), anche questa ulteriore branca di "truth" (verità) che dovrebbe essere "secret" (segreta) e che invece diventa "public" (pubblica).

Poi la vigilanza dei magistrati ben venga, certo. Ma da sola rischia di essere solo un pannicello caldo

Per il Giudice Fallimentare del Tribunale di Milano dr.ssa Macchi e per i dottori Gnudi, Laghi e Carrubba, Amministratori Straordinari di Ilva S.p.A. e di tutte le altre società del Gruppo Riva, compresa, dal 5 dicembre u.s., la ex Riva Fire S.p.A., oggi divenuta Partecipazioni Industriali S.p.A., le istanze di insinuazione al passivo della procedura proposte dai cittadini residenti ai Tamburi che si ritengono danneggiati per lo spolverio proveniente dai parchi minerali dello stabilimento Ilva, non possono essere accolte.

Anche se dette istanze sono basate sulla analitica elencazione delle numerose sentenze passate in giudicato sul reato di "getto pericoloso di cose" alla base dell'imbrattamento, nonchè su consulenze tecniche chiarissime e dati incontrovertibili circa l'esistenza di una massiccio fenomeno di intollerabili dispersioni di polveri  dai parchi minerali dello stabilimento Ilva che hanno imbrattato per anni gli immobili dei Tamburi e hanno ridotto sensibilmente la possibilità di godimento dei predetti immobili per i residenti, ed anche se si tratta di riconoscere un risarcimento per somme pressocchè simboliche (spesso si parla addirittura di poche centinaia di euro a persona).

No, queste istanze non vanno ammesse, dicono gli Amministratori Straordinari di Ilva, inflessibili.

Eppure alla base di quelle istanze c'è esattamente lo stesso inquinamento e la stessa dispersione di polveri che ha portato alla nomina da parte del Governo degli stessi Amministratori Giudiziari.

Senza quel conclamato inquinamento, infatti, non ci sarebbe nè la procedura di Amministrazione Straordinaria delle società del Gruppo Riva, nè gli Amministratori Straordinari.

Perchè adesso quell'inquinamento, che è presupposto della stessa nomina degli amministratori, per gli stessi Amministratori Straordinari non è più così certo? Perchè adesso i residenti ai Tamburi per gli Amministratori Straordinari devono dare la prova (diabolica?) dell'esistenza del "nesso di causalità" tra inquinamento e danni subiti? Perchè non è sufficiente fare semplicemente riferimento all'inquinamento ormai accertato in via definitiva e riconoscere il diritto al risarcimento ai proprietari di immobili dei Tamburi certamente vittime dello spolverio di polveri provenienti dall'impianto Ilva, sulla scorta delle sentenze del Giudice Civile del Tribunale di Taranto, che ha pensato ad un sistema di calcolo equitativo del danno basato sul valore catastale degli immobili?

Pensano forse  gli Amministratori Straordinari di evitare così pericolosi "precedenti", consapevoli che i cittadini dei Tamburi difficilmente potranno impugnare i provvedimenti di rigetto promuovendo giudizi di opposizione allo stato passivo?

Perchè si tratterebbe di promuovere dei giudizi presso il Tribunale di Milano e nessuno, senza avere la certezza di recuperare il proprio credito, è così folle da sopportare ulteriori spese di contributo unificato, bolli, notifiche e competenze degli avvocati per il riconoscimento di un diritto, quello al risarcimento, che nessuno vuole riconoscere e che resterebbe comunque quasi certamente un diritto non soddisfatto.

Certo, se le cose stessero così, si tratterebbe di un comportamento poco commendevole da parte degli Amministratori Straordinari. Un comportamento che si sostanzierebbe in un diniego di giustizia per i residenti ai Tamburi.

Con l'aggravante che le procedure non avrebbero alcun danno se ammettessero anche tutte le domande di risarcimento dei residenti ai Tamburi, per la semplice ragione che non ci saranno mai risorse disponibili per pagarle, trattandosi di crediti chirografari, cioè privi di privilegi. Ma almeno sarebbe passato un principio, un principio semplice e di solare evidenza: i proprietari degli immobili ai Tamburi hanno subito un danno dall'attività industriale di Ilva, e vanno risarciti. Punto.

A parole poi si invoca una sempre più fantomatica "soluzione politica", ma, intanto, di questa soluzione politica non si vede traccia alcuna (e su questo, e sulla efficacia della classe politica jonica, verrebbe da stendere un velo pietoso), e nel frattempo si fa di tutto per negare ai residenti dei Tamburi qualsiasi giustizia, anche simbolica.

Perchè è evidente che, malgrado dietro il banco del giudice del Tribunale di Milano si legga: "la legge è uguale per tutti", per i residenti ai Tamburi evidentemente la legge è diversa; sono ammesse delle deroghe, troppe deroghe, e tutte contro gli interessi dei tarantini.

Ce n'è per essere incazzati? Direi di sì.

Ma oltre ad incazzarci, abbiamo un piano per venirne fuori? Abbiamo qualche idea su come garantire un simbolico risarcimento ai cittadini inquinati di Taranto?

 

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